I migranti portano con sé un bagaglio di risorse personali di alto valore, ma non sempre la società ricevente è in grado di riconoscere e mettere a frutto questo potenziale. In particolare, per valorizzare il ricco patrimonio di cui i migranti sono portatori, è cruciale sviluppare le metodologie e gli strumenti disponibili per il riconoscimento delle loro soft skill.
Il “Skills Panorama Glossary” del Cedefop definisce le soft skill come un insieme di competenze non tecniche utili per diversi lavori e in differenti settori professionali. Le soft skill comprendono sia caratteristiche personali (es. fiducia, disciplina, autogestione) sia competenze sociali (es. lavoro di squadra, comunicazione, intelligenza emotiva). Le soft skill si distinguono dalle hard skill che sono, invece, competenze specifiche o specializzate necessarie per svolgere determinati lavori in particolari settori. A differenza delle hard skill, le soft skill si caratterizzano per un alto grado di trasversalità e trasferibilità.
In seguito alla migrazione, molte persone devono reinventarsi sul piano professionale. Nel confrontarsi con un lavoro completamente nuovo, devono spesso mettere da parte le proprie hard skill, difficilmente trasferibili da un settore ad un altro, ma possono invece avvalersi delle soft skill possedute.
Le soft skill sono inoltre essenziali per valorizzare le hard skill. Ad esempio, il miglior programmatore informatico potrebbe non essere in grado di completare un software, laddove sia fondamentale la capacità di comunicare con altri professionisti ed egli non ne sia capace.
Per questo il possesso di soft skill è ritenuto essenziale dai datori di lavoro e rappresenta un requisito imprescindibile per affrontare con successo un processo di selezione del personale. L’occupabilità di una persona migrante, quindi, risulterà fortemente accresciuta da una buona consapevolezza e capacità di promuovere le proprie soft skill.
Va anche considerato che le soft skill possono essere state sviluppate non solo in contesti di apprendimento formali (es: scuola o percorsi formativi), ma anche in contesti non formali (es.: contesti di lavoro o esperienze di volontariato) o informali (es.: vita familiare o esperienza migratoria).
Si tratta dunque di risorse che possono essere sviluppate a prescindere dal livello di istruzione. La questione è rilevante se si considera che le migrazioni dirette verso l’Italia si caratterizzano per un più basso livello di scolarizzazione rispetto al resto d’Europa.
Per tutti questi motivi, il riconoscimento delle soft skill dei migranti si rivela un passaggio essenziale nella promozione della loro occupabilità e inclusione nel mercato del lavoro italiano.
Ecco perché nell’ambito del progetto Dimicome è stato elaborato un set di linee guida metodologiche per l’identificazione e la valutazione delle soft skill dei migranti. Si tratta di una serie di indicazioni operative che intendono migliorare l’efficacia degli interventi volti alla messa in trasparenza e alla valorizzazione di queste preziose risorse. Le linee guida sono state messe a punto attraverso la consultazione di 30 realtà impegnate nell’identificazione e valutazione delle competenze dei migranti. La consultazione ha coinvolto soggetti operanti in tre diverse regioni italiane: Lombardia, Piemonte e Puglia. I risultati emersi sono stati discussi nell’ambito di un workshop, che si è tenuto a Milano il 9 e 10 ottobre 2019 e che ha coinvolto, oltre ai partner di progetto, anche alcune organizzazioni con una ricca esperienza nel settore attive in altri paesi europei: Francia, Germania e Ungheria.