La situazione dei migranti al confine bielorusso
Da metà agosto 2021 migliaia di persone provenienti soprattutto dall’Iraq, e in misura minore dalla Siria, dallo Yemen e dall’Afghanistan, sono giunte alle frontiere di Polonia, Lituania e Lettonia, nella convinzione di poter entrare legalmente in Europa attraverso la Bielorussia. A fine novembre si contavano circa 8000 ingressi non autorizzati nei territori dei suddetti paesi, attraverso la Bielorussia, rispetto a 257 ingressi in tutto il 2020, e oltre 40.000 tentativi di attraversamento. (Secondo la guardia di frontiera polacca sarebbero stati 33.000 i tentativi di attraversare illegalmente il confine da agosto, di cui 17.000 solo in ottobre). La maggior parte dei migranti, una volta entrati nell’Unione europea, aspirano ad arrivare in Germania: circa 11.000 persone avrebbero attraversato il confine con la Polonia, giungendo dalla Bielorussia, tra agosto e novembre.
In maggioranza, i migranti sono arrivati nella capitale bielorussa in aereo (fino a qualche mese fa Minsk era servita da voli diretti da tutto il Medio Oriente, tra cui Beirut, Dubai e Baghdad) con visti turistici, proseguendo poi via terra fino ai confini con l’Unione europea. Come affermato dalla Presidente della Commissione europea, intervenendo il 23 novembre davanti al Parlamento europeo riunito in seduta plenaria, “questi migranti vengono vilmente ingannati da false promesse”, con la complicità di “agenzie di viaggio specializzate che offrono offerte all-inclusive: visti, voli, hotel e, un po’ cinicamente, taxi e autobus fino al confine”. Alle persone, in attesa di un’occasione di arrivare in Europa, sarebbe fatto credere (con campagne di comunicazione, anche tramite i social media) di poter entrare legalmente nell’UE attraverso il confine bielorusso, inducendoli ad intraprendere il viaggio, per il quale pagano diverse migliaia di euro (spesso indebitandosi).
Giunti al confine, i migranti scoprono la realtà, “venendo esposti ad una situazione di sofferenza e violenza sfruttata per scopi politici, a causa della sconsiderata spregiudicatezza del regime di Lukashenko”. Numerose testimonianze descrivono trattamenti inumani e degradanti da parte delle guardie di frontiera bielorusse, che percuoterebbero le persone, costrette a tagliare la recinzione e impossibilitate a tornare indietro, punite per non aver tentato di attraversare il filo spinato. Circa 2000 persone (tra le quali tante famiglie con bambini) lasciate al gelo (con minime anche oltre -10 gradi a dicembre e gennaio) nei boschi in prossimità della frontiera, in assenza di riparo, abbigliamento adeguato, cibo e servizi essenziali (oltre una ventina sarebbero i morti per ipotermia, tra cui anche un bimbo di pochi mesi e una donna curda incinta morta per setticemia) e alle quali con difficoltà associazioni ed abitanti della zona cercano di portare cibo e coperte (altre 15.000 si troverebbero in Bielorussia e potrebbero, quindi, aggiungersi). Solo a metà novembre alcune centinaia sarebbero state trasferite dalle autorità bielorusse in un centro, un magazzino situato nei pressi della frontiera, ma centinaia sarebbero ancora accampati nella foresta. Le violazioni dei diritti fondamentali hanno, però, luogo su entrambi i lati del confine. Dopo aver proclamato lo Stato di emergenza, la Lettonia (ad agosto, prorogato fino al 10 febbraio 2022), la Polonia (a settembre) e la Lituania (a novembre, prorogato al 15 gennaio 2022), hanno modificato le norme nazionali con l’obiettivo di facilitare l’attuazione di respingimenti alla frontiera. In particolare, il 14 ottobre il Parlamento polacco ha approvato delle modifiche legislative nella materia della protezione internazionale che permettono alle guardie di frontiera di rimandare immediatamente indietro i migranti che hanno attraversato il confine in modo irregolare, consentendo il rigetto delle domande di asilo senza esame (salvo in limitate circostanze) ed applicando un divieto di reingresso “per un periodo compreso tra sei mesi e tre anni”. E così, emerge dalle testimonianze, le guardie di frontiera polacca ignorerebbero sistematicamente le richieste di asilo e riporterebbero subito oltre confine i migranti che, pressati dalle guardie bielorusse, l’hanno attraversato. Passaggi che si ripeterebbero anche più volte, in questo macabro rimpallo in cui sono intrappolate le persone, forzate a muoversi da una parte all’altra del confine, con il rischio concreto anche di separazione tra membri della famiglia. La proclamazione dello stato di emergenza nell’area della foresta di Białowieża, lungo il confine polacco-bielorusso, ha comportato, sin dall’inizio di settembre (prorogato con un nuovo atto legislativo il 1° dicembre), anche il divieto di ingresso per i non residenti e di ripresa della zona di confine, delle infrastrutture in essa presenti così come delle guardie di frontiera, della polizia e dei militari, con ciò limitando la possibilità di offrire assistenza ai migranti in condizioni critiche, da parte delle organizzazioni umanitarie, e il diritto di documentare la grave situazione da parte di giornalisti e fotografi. A dicembre, l’accesso alla zona di frontiera non è stato consentito neppure all’Alto Commissariato delle NU per i diritti umani, i cui funzionari hanno descritto la situazione dei migranti sul confine come “straziante e spaventosa”. E così le notizie, e le stime, sulle persone lungo il confine sono imprecise e frammentarie.
Considerata la situazione di stallo e l’impossibilità di oltrepassare il confine, nelle scorse settimane le autorità bielorusse avrebbero cominciato ad ordinare ai migranti attirati nei mesi scorsi di ritornare nei loro paesi, riportati con la forza in caso contrario, senza considerazione dei rischi cui sarebbero esposti.
Biasimo è stato espresso da più parti. UNHCR ha sottolineato che la strumentalizzazione di migranti e rifugiati per raggiungere fini politici è deplorevole: “approfittare della disperazione e della vulnerabilità di migranti e rifugiati offrendo loro promesse irrealistiche e fuorvianti è inaccettabile e ha gravi conseguenze umane”, richiamando nel contempo gli Stati dell’UE al rispetto dei propri obblighi internazionali in materia di asilo (critiche puntuali sono state espresse rispetto alla legge approvata in Polonia). Anche il Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa è intervenuto sottolineando che se la situazione è il risultato delle azioni riprovevoli della Bielorussia (che però non è parte della Convenzione europea dei diritti umani), questo non esime la Polonia dal rispetto dei propri obblighi in materia di diritti fondamentali.