3 dicembre: presentato a Milano il XXV rapporto ISMU sulle migrazioni 2019
2 Dicembre 2019
Interventi al XXV rapporto ISMU – Slide
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Comunicato stampa XXV rapporto ISMU

Martedì 3 dicembre 2019, ore 9-13

Aula Magna Università Cattolica del Sacro Cuore, Largo A. Gemelli 1, Milano

In occasione del XXV Rapporto sulle migrazioni, ISMU ripercorre l’andamento dei flussi migratori che negli ultimi 25 anni ha visto crescere la popolazione straniera da quasi 922mila residenti (1998) a 6 milioni e 222mila presenti (regolari e non, stima Ismu al 1° gennaio 2019). Nell’ultimo quarto di secolo la presenza dei migranti si è consolidata, stabilizzandosi. Basti pensare che le acquisizioni di cittadinanza dal 1998 al 2018 (incluso) hanno raggiunto un totale di 1.365.812. Il radicamento della popolazione immigrata ha inciso su diversi aspetti del nostro Paese, dalla scuola al mercato del lavoro. Il trend degli alunni con cittadinanza non italiana nell’ultimo quarto di secolo ha attraversato tre fasi (di avvio, accelerazione, stasi): dalle 50mila presenze dell’anno scolastico 1995/96 si è arrivati alle 842mila – ormai stabili – del 2017/18. I lavoratori stranieri da presenza invisibile e silenziosa sono passati ad essere una componente strutturale del sistema produttivo. Il quadro che emerge da questi ultimi 25 anni porta ad affermare che per la stragrande maggioranza dei migranti residenti in Italia, l’integrazione procede silenziosamente e in modo sostanzialmente positivo, anche se non si può negare che esistono ostacoli e zone d’ombra.

L’immigrazione al 1° gennaio 2019. Passando all’analisi dei dati più recenti, come accennato in precedenza, Fondazione ISMU stima al 1° gennaio 2019 una presenza in Italia di 6 milioni e 222mila stranieri su una popolazione di 60 milioni e 360mila residenti (oltre uno straniero ogni 10 abitanti). Rispetto alla stessa data del 2018, l’incremento degli stranieri presenti è stato dell’1,9%­ (mentre tra il 2017 e il 2018 la variazione era stata del 2,5%), dovuto in gran parte alla crescita della componente irregolare (+5,4%), pari a 562mila unità, che però appare ridimensionata rispetto al 2017 (+8,6%) e al 2016 (+12,9%). Tra i presenti l’84% è regolarmente iscritto in anagrafe, il 6,5% è regolare ma non iscritto in anagrafe, mentre il 9% è privo di un valido titolo di soggiorno. Le persone provenienti da Paesi Terzi sono 4 milioni e 443mila unità (inclusi i non iscritti in anagrafe e gli irregolari). Nel 2018 sono stati rilasciati 242mila nuovi permessi di soggiorno, con una riduzione (dovuta al calo dei permessi rilasciati per motivi di asilo o umanitari) dell’8% rispetto al 2017. Aumentano invece i permessi di soggiorno rilasciati per lavoro, studio, e famiglia. Cresce anche il peso della componente femminile che nel 2018 rappresenta oltre il 45% dei nuovi ingressi, contro il 39% del 2017. Nel 2019 poi abbiamo assistito a un importante rallentamento degli sbarchi che sono stati 10.707 al 28 novembre.

Alla riduzione degli sbarchi non è seguita una proporzionale contrazione delle richieste di asilo. Passando all’analisi degli esiti delle richieste di asilo si evidenzia che la percentuale dei dinieghi è passata dal 30% delle decisioni di prima istanza del 2013 all’80% nei primi sette mesi del 2019. La proporzione dei dinieghi, crescente negli anni, ha fatto registrare un ulteriore rialzo a seguito dell’abolizione della protezione umanitaria. Tale abolizione avrà un significativo impatto sulla presenza irregolare, di cui però non è quantificabile con sicurezza l’orizzonte temporale, grazie alla non retroattività della norma che presumibilmente darà luogo a sentenze positive in fase di appello.

Sul fronte lavorativo, si segnala che la popolazione straniera in età da lavoro (tra i 15 e i 64 anni) nel 2018 in Italia è giunta a sfiorare i 4 milioni e che gli occupati sono circa 2 milioni 455mila, oltre 32mila in più rispetto all’anno precedente. Gli stranieri rappresentano il 10,2% della popolazione in età attiva, il 10,6% degli occupati, il 14,5% dei disoccupati e l’8,6% degli attivi. Il tasso di disoccupazione – nonostante la lieve contrazione dell’ultimo anno – è più alto tra gli stranieri (14%) che tra gli italiani (10,2%). Si segnala che la concentrazione nei lavori meno qualificati rende gli stranieri particolarmente numerosi tra i working poor: nel 2018 i lavoratori extracomunitari hanno percepito una retribuzione media annua pari a 13.992 euro, inferiore del 35% a quella del complesso dei lavoratori. Passando al sistema scolastico italiano, dopo lo stop e quella che avevamo definito “la crescita zero del 2015”, il numero degli alunni stranieri con cittadinanza non italiana ha ripreso ad aumentare crescendo nell’a.s. 2017/18 di 15mila unità, a fronte di una continua flessione degli alunni italiani, che invece sono diminuiti di 93mila presenze. In totale gli alunni stranieri sono 842mila, pari al 9,7% del totale degli iscritti nelle scuole italiane, dall’infanzia alle secondarie di secondo grado. ISMU stima che al 1° gennaio 2019 la presenza complessiva delle seconde generazioni in Italia di età compresa tra gli 0 e i 35 anni (nate in Italia da almeno un genitore straniero o giunte minorenni) è di 2.825.182.

ISMU prende in esame anche gli atteggiamenti degli italiani nei confronti dell’immigrazione: dalla maggioranza dei sondaggi è emerso che oggi i cittadini italiani sono per la maggior parte favorevoli alla chiusura dei porti. È significativo segnalare come all’inizio del 2018, l’orientamento fosse differente: il 49% degli italiani riteneva che l’accoglienza era da privilegiare rispetto al respingimento, mentre solo il 44% era a favore dei porti chiusi.

Ormai l’immigrazione è diventata una delle principali questioni dibattute non solo in Italia ma anche nell’Unione europea e nei singoli Paesi che la costituiscono. A tal proposito ISMU ha anche realizzato l’incidenza delle migrazioni e degli orientamenti euroscettici nelle elezioni europee del 2019.

Sono questi alcuni dei principali dati del XXV Rapporto sulle migrazioni 2019, elaborato da Fondazione ISMU (Iniziative e Studi sulla Multietnicità) e presentato il 3 dicembre 2019 a Milano.

Al convegno, patrocinato dall’Università Cattolica del Sacro Cuore, realizzato con il sostegno della Rappresentanza a Milano della Commissione Europea e della Fondazione Cariplo, e moderato dal vicedirettore del Corriere della Sera Venanzio Postiglione, hanno partecipato in ordine di apparizione: Franco Anelli, Rettore Università̀ Cattolica del Sacro Cuore; Mariella Enoc, Presidente di Fondazione ISMU; Massimo Gaudina, Capo della Rappresentanza a Milano della Commissione europea; Vincenzo Cesareo, Segretario Generale di Fondazione ISMU; Livia Ortensi, Responsabile Settore Statistica di Fondazione ISMU;  Laura Corrado, Capo Unità Legal Pathways and Integration, DG Migration and Home Affairs, Commissione europea; Simona Ragazzi, Giudice per le indagini preliminari, Tribunale di Catania; Ennio Codini, Responsabile Settore Legislazione, Fondazione ISMU; Laura Zanfrini, Responsabile Settore Economia e Lavoro, Fondazione ISMU.

L’evento ha visto anche l’intervento di Carlotta Sami, Portavoce UNHCR per il Sud Europa, sul tema Rifugiati in Italia, possibili azioni per una effettiva inclusione.

Nel corso del convegno è stato assegnato il riconoscimento Fondazione Cariplo-Fondazione Ismu 2019 alle undici autrici dell’antologia Future, il domani narrato dalle voci di oggi (Effequ, pagg. 224), e alla sua curatrice, Igiaba Scego, scrittrice italosomala di seconda generazione. Nel libro le narratrici afroitaliane raccontano di futuro, generazioni e radici. Hanno ritirato il premio Marie Moïse, Djarah Kan e Addes Tesfamariam, tra le autrici dell’antologia.

1) MIGRAZIONI IN ITALIA

L’immigrazione in Italia negli ultimi 25 anni. In occasione della 25esima edizione del Rapporto annuale sulle migrazioni, ISMU ripercorre l’andamento dei flussi migratori e dei processi di integrazione, fornendo un quadro delle principali trasformazioni avvenute in questo arco temporale. Ne emerge che per la stragrande maggioranza dei migranti residenti in Italia, l’integrazione procede silenziosamente e in maniera positiva, pur con il persistere di ostacoli e zone d’ombra. Passando ai dati statistici si segnala che la popolazione straniera è passata da quasi 922mila residenti nel 1998 a 6 milioni e 222mila stranieri presenti (1° gennaio 2019, stime ISMU). E se al 1° gennaio 1994 i paesi a forte pressione migratoria con più soggiornanti erano Marocco, Jugoslavia e Filippine, 25 anni dopo i primi tre paesi di provenienza dei residenti stranieri sono: Romania, Albania e Marocco. Dal 1998 al 2018 (incluso) si registra che le acquisizioni di cittadinanza hanno raggiunto un totale di 1.365.812, e tra il 2013 e il 2018 si sono sempre attestate sopra le 100mila unità annue. Altro fenomeno rilevante riguarda i trasferimenti dal Sud Italia al Nord, che secondo le stime SVIMEZ ha riguardato 2 milioni di persone negli ultimi 15 anni. Nel corso degli anni ISMU ha provveduto anche a fornire una stima affidabile della componente irregolare, la cui presenza ha seguito un andamento ondulatorio: dal 1990 al 2019 si nota come essa sia scesa in corrispondenza degli anni in cui sono state effettuate le sanatorie (2002, 2006) e del periodo in cui la crisi economica recente ha prodotto gli effetti peggiori. L’irregolarità è tornata invece a salire negli ultimissimi anni, per effetto soprattutto delle domande di protezione internazionale che hanno avuto esito negativo (dinieghi).

Tra regolari e irregolari. Quanti sono gli immigrati in Italia. Diversamente da quanto accade per la popolazione con cittadinanza italiana, che ha perso 677mila residenti nell’arco di un quadriennio, la componente straniera presente in Italia ha continuato ad aumentare anche nel corso del 2018. Secondo le ultime stime di Fondazione ISMU, al 1° gennaio 2019 sarebbero presenti in Italia 6 milioni e 222mila stranieri, su una popolazione di 60 milioni e 360mila residenti (oltre uno straniero ogni 10 abitanti). Rispetto alla stessa data del 2018, l’incremento degli stranieri presenti è stato dell’1,9% (mentre tra il 2017 e il 2018 la variazione era stata del 2,5%), dovuto in gran parte alla crescita della componente irregolare (+5,4%), che però appare ridimensionata rispetto al 2017 (+8,6%) e al 2016 (+12,9%). Tra i presenti l’84% è regolarmente iscritto in anagrafe, il 6,5% è regolare ma non iscritto in anagrafe, mentre il 9% (pari a 562mila unità) è costituito dalla componente irregolare, ovvero priva di un valido titolo di soggiorno. Al 1° gennaio 2019 la popolazione straniera iscritta in anagrafe ammonta a 5 milioni e 256mila unità, pari all’8,7% del totale dei residenti in Italia, con un aumento di 111mila unità rispetto ai dodici mesi precedenti. Gli stranieri che nel 2018 hanno acquisito la cittadinanza italiana sono stati 113mila.

Sono 2.825.182 le seconde generazioni under 35. Secondo Fondazione ISMU, sulla base di elaborazioni di dati ISTAT, ORIM e MIUR, al 1° gennaio 2019 è possibile stimare la presenza complessiva delle seconde generazioni in Italia di età compresa tra gli 0 e i 35 anni (nate in Italia da almeno un genitore straniero o giunte minorenni) attorno al valore di 2.825.182[1].

Provenienze: il primato continua ad essere dei rumeni. Al 1° gennaio 2019 si registra la presenza di 1 milione e 583mila cittadini dell’Unione europea (inclusi i 29mila cittadini del Regno Unito) e di 3 milioni e 673mila cittadini di Paesi Terzi (4 milioni e 443mila unità, pari al 71%, se si includono i non iscritti in anagrafe e gli irregolari). Tra i primi spicca la netta predominanza dei rumeni (1,2 milioni), mentre tra i secondi poco oltre un milione provengono da paesi europei extra UE (in primo luogo da Albania, Ucraina e Moldova), un milione e 140mila dall’Africa (in primo luogo da Marocco, Egitto, Nigeria, Senegal e Tunisia), con un balzo in avanti di coloro che provengono da alcune realtà subsahariane quali Guinea (+20%), Guinea Bissau (+19%), Gambia (+17%). I residenti originari dall’Asia sono poco meno di 1,1 milione, la maggior parte dei quali arriva da Cina, Filippine, India, Bangladesh, Pakistan e Sri Lanka. Infine, gli stranieri provenienti dalle Americhe sono circa 380mila, quasi tutti latinoamericani.

Calano i premessi di soggiorno rilasciati a rifugiati e richiedenti asilo e aumentano quelli per lavoro, studio, e famiglia. Nel 2018 sono stati rilasciati 242mila nuovi permessi di soggiorno, con una riduzione dell’8% rispetto al 2017. La diminuzione è dovuta al calo dei permessi rilasciati per motivi di asilo o umanitari, scesi da oltre 100mila a meno di 65mila (-36%), cui ha parzialmente contribuito il decreto legge del 4 ottobre 2018 n. 113, che abroga il permesso di soggiorno per motivi umanitari. Sono in crescita invece i permessi rilasciati per le altre motivazioni: rispetto al 2017, quelli per lavoro sono aumentati del 21%, invertendo la tendenza degli ultimi anni. Peraltro va precisato che nel 27% dei casi si è trattato di documenti con durata non superiore a sei mesi e che poco più di un quinto è stato emesso a favore di cittadini statunitensi. In aumento anche i permessi per motivi di studio (+20%, di cui il 21% a cittadini cinesi). In crescita anche i permessi per motivi di famiglia che coprono oltre il 50% dei nuovi rilasci del 2018 (contro il 43% del 2017). Un altro dato in controtendenza è la crescita del peso della componente femminile che nel 2018 rappresenta oltre il 45% dei nuovi ingressi, contro il 39% del 2017. La diminuzione dei permessi per motivi umanitari e richiesta di asilo ha comportato una modifica dei paesi di provenienza dei nuovi ingressi: tornano in testa alla graduatoria Albania e Marocco, diminuiscono per oltre il 40% le migrazioni provenienti dalla Nigeria, infine escono dalla classifica dei primi 10 Gambia e Senegal (-47% per entrambi).

Diminuiscono gli sbarchi e crescono le richieste di asilo. Nel 2019 abbiamo assistito a un importante rallentamento degli sbarchi che sono stati 10.707 al 28 novembre. Si tratta di una flessione pronunciata, pari a -53,47% rispetto allo stesso periodo del 2018 e a -90,85% rispetto allo stesso periodo del 2017. A tale riduzione di sbarchi non è seguita una proporzionale contrazione delle richieste di asilo: da agosto 2018 infatti le richieste di asilo superano gli sbarchi. Se nel 2015 l’Italia ha ricevuto circa 54 richieste di asilo ogni 100 sbarchi, la proporzione è cresciuta fino a raggiungere la soglia di 674 richieste ogni 100 sbarchi nei primi 6 mesi del 2019. Tale distacco si spiega in parte con la possibilità di uno scostamento temporale tra lo sbarco e la presentazione della domanda di asilo, ma segnala anche l’importanza di altri canali che alimentano a loro volta le richieste d’asilo. Tra questi ultimi gli ingressi via terra, in particolare attraverso la “Rotta Balcanica”. Secondo il Ministero dell’Interno nel 2019 (dati al 20 giugno) sarebbero 898 le persone intercettate al confine con la Slovenia. Tale dato è più del doppio rispetto al 2018. Altro canale di (re)ingresso che alimenta potenzialmente le richieste di asilo è quello dei trasferimenti in Italia da altri paesi ai sensi del regolamento di Dublino. Si tratta di trasferimenti che riguardano cittadini che dopo essere stati identificati in Italia, hanno presentato domanda di asilo in un altro paese europeo di conseguenza non competente alla valutazione. Nel 2018 l’Italia ha ricevuto quasi 42mila richieste di trasferimento (+57,4% rispetto all’anno precedente), ma il numero effettivo dei rientri nel nostro Paese nel 2018 è stato di poco più di 6mila (+11,9% rispetto al 2017). Un ulteriore canale che alimenta le richieste di asilo deriva dagli ingressi a seguito delle procedure di resettlement (reinsediamento da Paese terzo all’Italia) di rifugiati da Libano e Sudan: nel 2018 gran parte di questi ingressi sono stati a favore di cittadini siriani (58,5%) ed eritrei (26,7%). Le persone in carico dalle strutture di accoglienza nel territorio italiano al 30 giugno erano 100mila, in diminuzione rispetto ai due anni precedenti sia per la riduzione del numero di ingressi sia per la progressione delle domanda di asilo.

Richieste di asilo: dinieghi in aumento a causa dell’abolizione della protezione umanitaria. Passando all’analisi degli esiti delle richieste di asilo si evidenzia che la percentuale dei dinieghi è andata crescendo nel tempo passando dal 30% delle decisioni di prima istanza del 2013, all’80% nel primo semestre del 2019: la proporzione dei dinieghi ha raggiunto il massimo nei primi sette mesi del 2019 a seguito dell’abolizione della protezione umanitaria. L’impatto di tale abolizione sul numero finale degli irregolari è di difficile quantificazione: la ricezione di un diniego infatti non si tramuta necessariamente nell’immediata perdita dello status di regolarità, poiché a coloro che presentano ricorso, nella maggior parte dei casi, viene sospeso l’ordine di lasciare l’Italia. In conclusione, l’abolizione della protezione umanitaria avrà un significativo impatto sulla presenza irregolare, di cui però non è quantificabile con sicurezza l’orizzonte temporale, grazie alla non retroattività della norma che presumibilmente darà luogo a sentenze positive in fase di appello.

2) IL LAVORO

Nell’ultimo quarto di secolo, la società e il mercato del lavoro italiani hanno conosciuto una trasformazione straordinaria e irreversibile: la popolazione immigrata da presenza invisibile e silenziosa è passata ad essere una componente strutturale del mercato del lavoro e del sistema produttivo. Un fenomeno che in tutti questi anni ha rivelato gli elementi di criticità dell’economia e della società italiana.

Quanti sono i lavoratori immigrati. La popolazione straniera in età da lavoro (tra i 15 e i 64 anni) nel 2018 in Italia è giunta a sfiorare i 4 milioni. I dati ripresi da varie fonti istituzionali e commentati all’interno del Rapporto ISMU ci dicono che gli stranieri rappresentano il 10,2% della popolazione in età attiva, il 10,6% degli occupati, il 14,5% dei disoccupati e l’8,6% degli attivi. In particolare gli stranieri occupati sono circa 2 milioni 455mila, oltre 32mila in più rispetto all’anno precedente, quelli in cerca di un’occupazione diminuiscono di più di 6mila unità, mentre gli inattivi registrano una significativa riduzione pari a 11.538. Si confermano, dunque, due dei principali caratteri del quadro italiano, che vede gli stranieri più “attivi” e più “occupati”, ma anche più “disoccupati” degli autoctoni.

Tassi di attività, occupazione e disoccupazione. Il tasso di attività degli stranieri è più elevato di quello degli italiani (71,2% contro 65%), sia per i maschi sia per le femmine: le donne provenienti da Filippine, Perù, Moldavia, Cina, Ucraina, Ecuador, registrano però tassi di attività superiori a quelli delle donne italiane. Anche il tasso di occupazione registra un divario positivo a vantaggio degli stranieri (61,2% contro il 58,2% registrato per gli italiani). Tra gli uomini i tassi di occupazione più elevati sono quelli degli asiatici: Bangladesh, Cina, Filippine, India e Sri Lanka registrano tassi compresi tra l’82,1% e l’84,2%, ovvero oltre 15 punti percentuali al di sopra del valore degli italiani. Tuttavia, anche il tasso di disoccupazione – nonostante la lieve contrazione dell’ultimo anno – è più alto tra gli stranieri (14%) che tra gli italiani (10,2%).

Gli immigrati e il “lavoro povero”. Nell’ultimo quarto di secolo in Italia si è consolidato il fenomeno della segmentazione del mercato del lavoro. Ne consegue l’elevata probabilità che un lavoratore straniero approdi a uno dei classici lavori da immigrato (a maggior ragione se è donna), con il rischio che l’immigrazione risulti funzionale a tale segmentazione. Alla luce di questo quadro si può affermare che l’immigrazione, comunemente indicata come la soluzione ai problemi di disallineamento tra domanda e offerta, non fa altro che mettere in evidenza il problema della polarizzazione occupazionale che produce inesorabilmente esclusione sociale. Indicativo in questo senso è l’impatto dell’immigrazione sulla crescita della povertà. In base alle stime Istat del 2018 gli stranieri in povertà assoluta sono oltre un milione e mezzo, con una incidenza pari al 30,3% (fra gli italiani l’incidenza è del 6,4%). Tra i nuclei famigliari in povertà assoluta, il 31,1% è composto da famiglie con stranieri (567mila). La povertà che attanaglia le famiglie straniere è dovuta non solo alla loro maggiore esposizione al rischio di disoccupazione, ma alla loro concentrazione nei low-paid jobs, i lavori a bassa o bassissima retribuzione. La concentrazione nei lavori meno qualificati – e per alcuni un numero inferiore di giornate/ore di lavoro – rende gli stranieri particolarmente numerosi tra i working poor: nel 2018 i lavoratori extracomunitari hanno percepito una retribuzione media annua pari a 13.992 euro, inferiore del 35% a quella del complesso dei lavoratori. Peraltro, il “cattivo lavoro” che segna la vita lavorativa di tanti immigrati, si è in questi anni diffuso come un virus in maniera sempre più pervasiva nel mercato del lavoro italiano, colpendo anche le regioni del Nord, le aree metropolitane, i comparti legati alla terziarizzazione e alla globalizzazione dell’economia, le fasce di lavoratori giovani e scolarizzate. Quello che si registra è un impoverimento complessivo del lavoro che sicuramente non giova né alla coesione sociale, né alla stessa competitività dell’economia, di cui la “via bassa” nell’impiego del lavoro immigrato costituisce uno specchio e un segnale premonitore.

Scenari futuri. L’analisi proposta da ISMU evidenzia come il futuro dell’economia e della società italiana sia strettamente intrecciato alla “qualità” dei percorsi di integrazione lavorativa dei migranti. Di qui l’esigenza di mettere a tema la questione del governo delle labour migrations. L’approfondimento dedicato al lavoro si conclude con alcune indicazioni prospettiche che potranno costituire altrettanti temi di discussione del Tavolo di stakeholder che ISMU intende attivare per offrire il proprio contributo costruttivo al futuro governo dei flussi migratori.

3) GLI ALUNNI STRANIERI E IL SISTEMA SCOLASTICO ITALIANO

I dati relativi all’anno scolastico 2017/2018 (ultimi dati disponibili) confermano che gli alunni con cittadinanza non italiana (CNI) costituiscono una presenza stabile. In totale sono 842mila, pari al 9,7% del totale degli iscritti nelle scuole italiane, dall’infanzia alle secondarie di secondo grado. Dopo lo stop e quella che avevamo definito “la crescita zero del 2015”, il numero di tali alunni ha ripreso ad aumentare crescendo nell’a.s. 2017/18 di 15mila unità, a fronte di una continua flessione degli alunni italiani, che invece sono diminuiti di 93mila presenze. Anche l’incidenza dei CNI è, di conseguenza, aumentata nel tempo fino a sfiorare la quota di 10 alunni di origine immigrata ogni 100.

I trend di crescita degli ultimi 25 anni. La ricostruzione fatta da ISMU (e presentata nel Rapporto nazionale Alunni con background migratorio in Italia. Emergenze e traguardi, 2019) del trend di alunni CNI dell’ultimo quarto di secolo ricostruisce tre fasi (di avvio, accelerazione, stasi), mostrando che dal 1995/96 al 2006/07 le presenze si sono decuplicate – da 50mila a 500mila –, mentre nell’ultimo decennio sono cresciute di circa 260mila unità (passando da 574mila dell’a.s. 2007/08 a 842mila nel 2017/18 e l’aumento del 2017/18 è il più alto che si registra dal 2014/15. Il rallentamento della crescita dipende da vari motivi: l’incremento più contenuto della popolazione straniera, il fatto che molti minori stranieri non accedono al sistema scolastico già dalla scuola dell’infanzia, la consistente quota di abbandoni scolastici tra i 18 e i 24 anni, e gli ostacoli e le difficoltà incontrate dai minori stranieri non accompagnati nell’accesso alla scuola dell’obbligo.

Istituti. Nell’a.s. 2017/18 la scuola primaria, con 307.818 presenze, accoglie il maggior numero di iscritti con cittadinanza non italiana, seguita dalle scuole secondarie di secondo grado (194.971) e da quelle di primo grado (173.815).

In crescita gli alunni stranieri nati in Italia: sono la maggioranza. Prosegue la crescita degli alunni stranieri nati in Italia, che rappresentano uno dei cambiamenti demografici più significativi nella popolazione scolastica straniera: nell’a.s. 2017/18 questo gruppo arriva a 531mila presenze e da 5 anni scolastici consecutivi costituisce la maggioranza degli alunni stranieri (il 63,1%, nell’a.s. 2017/18). In 10 anni si è assistito a un “rovesciamento” nella composizione percentuale, come emerge dalle analisi di ISMU, e i nati in Italia sono triplicati: se nel 2007/08, i nati all’estero erano la maggioranza ovvero il 66% versus la minoranza del 34% di nati in Italia, al contrario nel 2017/18 i rapporti fra gruppo minoritario e maggioritario si sono invertiti, con i nati all’estero che rappresentano il 37%.

Le regioni con più alunni stranieri sono Lombardia, Emilia Romagna e Veneto. Con 213mila presenze nel 2017/18, la Lombardia è la prima regione per maggior numero di alunni stranieri, seguita da Emilia Romagna e Veneto (rispettivamente con quasi 100mila e 93mila alunni CNI), Lazio e Piemonte (78-77mila), Toscana (70mila).

Le province con più alunni stranieri sono Milano, Roma e Torino. A livello provinciale, nell’a.s. 2017/18 la graduatoria vede ancora la provincia di Milano al primo posto (quasi 89mila studenti stranieri, il 10,6% degli alunni CNI in Italia), seguita dalle province di Roma (62.300), Torino (oltre 39mila) e Brescia (quasi 33mila).

Aumentano le scuole a elevata percentuale di stranieri. Nell’anno scolastico 2017/18 le scuole con oltre il 30% di alunni stranieri risultano essere 3.350, ovvero il 6% delle scuole italiane, che in un decennio sono quasi triplicate (erano il 2,3% nel 2007/08), come emerge dalle analisi di ISMU. Cresce anche il gruppo di scuole a “maggioranza straniera”, che passano da 691 nel 2016/17 a 729 nel 2017/18 (1,3% del totale di 55.945 scuole italiane). Anche se si tratta di un fenomeno residuale, la questione della possibile segregazione scolastica dei figli degli immigrati desta preoccupazioni e necessita di un attento monitoraggio.

Ritardo scolastico: in dieci anni si è ridotto di dieci punti.  Sebbene la percentuale degli studenti con background migratorio in ritardo si è ridotta di circa 10 punti percentuali in un decennio, dalla ricostruzione longitudinale dei dati fatta da ISMU emerge che nell’anno 2017/18 gli alunni stranieri delle secondarie di secondo grado in ritardo di uno o due anni sono ancora il 58% dei CNI, rispetto al 20% degli italiani. Significative le percentuali delle scuole medie (32%) e delle primarie (12%).

Abbandono degli studi. Anche la dispersione scolastica riguarda più gli stranieri degli italiani. Si segnala che, nella fascia dei 17-18enni, il 34,2% fra i CNI non frequenta più l’istruzione post-obbligatoria, contro il 20,3% fra gli italiani.

Aumenta la presenza degli alunni stranieri nei licei. L’andamento dei dati nell’ultimo decennio mostra che gli stranieri sono rimasti una componente stabile degli iscritti degli istituti tecnici (37% circa, nell’a.s. 2017/18, secondo elaborazioni ISMU su dati MIUR), mentre in parallelo si è ridotta la frequenza agli istituti professionali (-7% in 10 a.s.) ed è aumentata in misura uguale la presenza nei licei (+7% ).

Università: aumentano gli immatricolati e i laureati di origini straniere. Dal 2007/08 al 2017/18 gli immatricolati stranieri sono passati dal 4% (12mila circa) ad oltre il 5% del totale (più di 15mila); gli iscritti alle lauree triennali e a ciclo unico sono passati dal 2,5% (44mila studenti CNI) al 3,4% (oltre 60mila) della popolazione studentesca universitaria; i laureati stranieri che, nel 2007/08, erano circa 4mila (1,6%) sono diventati quasi 7mila nel 2016/17 (pari al 2,1% dei laureati in Italia).

4) GLI ATTEGGIAMENTI DEGLI ITALIANI NEGLI ULTIMI 25 ANNI

In questi ultimi anni l’immigrazione è divenuta una questione determinante, in grado di orientare le scelte di voto dei cittadini. È interessante notare però che negli ultimi 25 anni gli atteggiamenti degli italiani nei confronti di questo fenomeno sono stati altalenanti: gli stranieri vengono visti prima con curiosità e poi come un’emergenza (Anni 80), poi come un problema di ordine pubblico (Anni 90). Con il nuovo secolo gli italiani mostrano – in linea con il resto d’Europa – prima una “serena certezza” nella possibilità di metabolizzare la presenza degli stranieri, e poi, a partire dalla crisi del 2008, tornano a mostrare preoccupazione e timore, soprattutto nei confronti degli irregolari. Infine dal 2015, a causa dei cambiamenti geopolitici in Nordafrica, aumenta il timore di nuove ondate migratorie. Ma quali sono oggi gli atteggiamenti degli italiani?

Il caso della Sea Watch nei sondaggi: la maggioranza degli italiani vuole i porti chiusi. Il caso della nave ONG Sea Watch – ma anche dell’Acquarius e della nave della marina militare U. Diciotti – ha posto al centro del dibattito pubblico il tema degli sbarchi sulle coste italiane. Dai sondaggi è emerso che i cittadini italiani sono per la maggior parte favorevoli alla chiusura dei porti: secondo il sondaggio Ipsos (2019) il 59% degli italiani intervistati è a favore della linea della fermezza. L’atteggiamento di minore tolleranza nei confronti degli immigrati che sbarcano è confermato anche dal sondaggio condotto da Demos & pi (2019): la scelta di non aprire i porti è condivisa da oltre la metà degli intervistati. È significativo segnalare come all’inizio del 2018, l’orientamento fosse differente: il 49% degli italiani riteneva che l’accoglienza era da privilegiare rispetto al respingimento, mentre solo il 44% era a favore dei porti chiusi. Il cambiamento di opinione è avvenuto in un tempo relativamente breve, soprattutto in quelle categorie sociali più esposte alla crisi come operai disoccupati, ma anche lavoratori autonomi.

5) INCIDENZA DELLE MIGRAZIONI NELLE ELEZIONI EUROPEE

Tra il 23 e il 26 maggio 2019 i cittadini dei 28 Stati membri dell’Unione europea si sono recati alle urne per eleggere i propri rappresentanti al Parlamento europeo e il 25° Rapporto ISMU analizza anche i risultati di tali elezioni. Prima di tutto si segnala che questa tornata elettorale rappresenta un punto di rottura con la storia politica dell’assemblea parlamentare europea. Per la prima volta, infatti, nel corso della storia del Parlamento europeo, i due principali gruppi politici che hanno sostenuto e avanzato il processo di integrazione sovranazionale, e cioè il Partito popolare europeo (PPE) e i Socialisti & Democratici (S&D), non controllano più la maggioranza parlamentare, fermandosi al 44,7% dei seggi. In secondo luogo assistiamo sì alla crescita dei consensi di partiti variamente definiti “sovranisti”, “populisti”, “nazionalisti” e “antieuropeisti” che, all’interno dei loro paesi, hanno sostenuto posizioni di forte critica nei confronti dell’Unione europea, ma comunque si tratta di una crescita inferiore a quella prevista alla vigilia del voto da commentatori e opinionisti e dagli stessi leader di tali partiti. Infine si rafforza il gruppo liberale Renew Europe, soprattutto grazie ai seggi de La République en marche! di Macron e al successo di alcuni partiti liberali in diversi stati europei, oltre alla crescita dei Verdi, in particolare grazie al sorprendete risultato dei Grünen tedeschi e degli ecologisti francesi e britannici.

L’analisi prova a rispondere alle seguenti domande: si sta sempre più rafforzando un sentimento collettivo contro l’immigrazione e un atteggiamento molto scettico nei confronti dell’Unione europea? Le elezioni europee sono state un banco di prova, su queste due issue, per la tenuta del sistema politico europeo? Si è tentato di dare una risposta, mettendo in relazione la percentuale di voti alle destre nelle elezioni europee sia con l’atteggiamento dei cittadini nei confronti dell’immigrazione extra‐UE, sia con la percentuale di cittadini che dichiara di non sentirsi di cittadinanza europea. Ne è emerso che nei Paesi in cui una maggiore percentuale di cittadini rivela di avere un atteggiamento negativo verso l’immigrazione, è maggiore anche la percentuale di voti alle destre. E nei paesi dove i cittadini esprimono un rifiuto maggiore della cittadinanza europea come parte della propria identità, è maggiore anche la percentuale di voti alle destre.

6) LA SALUTE

Dopo più di trent’anni di ricerche sul campo e di report epidemiologici, qual è oggi lo stato di salute degli immigrati? Nel complesso gli immigrati non hanno condizioni di salute necessariamente peggiori rispetto agli italiani, ma presentano dei fattori di rischio dovuti agli ostacoli che trovano nell’accesso ai servizi sanitari: dall’inconsapevolezza dei loro diritti alle barriere linguistiche, culturali e giuridiche, fino alle fragilità psicologiche.

Effetti del decreto sicurezza sulla salute degli immigrati. Quali sono gli effetti del Decreto sicurezza (Legge 132/2018) e della riforma del Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati (SPRAR) sulla garanzia del diritto alla salute dei migranti e sulla salute dell’intera popolazione? Il decreto sicurezza, abolendo il permesso per motivi umanitari (sostituito con permessi speciali), comporterà una diminuzione delle tutele giuridiche e assistenziali per queste persone. Secondo la nuova normativa i richiedenti (a differenza dei titolari) protezione internazionale non possono entrare negli Sprar, ma devono rimanere fino a 180 giorni nei Centri di Permanenza e di Rimpatrio (ex CIE). Questi centri offrono solo vitto e alloggio, senza includere servizi e attività di integrazione sociale e lavorativa come corsi di italiano e di formazione. Tale stato di inattività, marginalità e attesa potrebbe avere conseguenze negative sullo stato di salute fisica e mentale di questi utenti.

Il XXV Rapporto sulle migrazioni 2019 di Fondazione ISMU tratta anche altre tematiche di attualità: i rifugiati e i corridoi umanitari, la tutela dei minori stranieri non accompagnati con particolare attenzione all’innovativa figura del tutore volontario. Anche in questa edizione è riservato uno sguardo all’Europa e al mondo con analisi specifiche sulle politiche europee di integrazione e il nuovo Quadro Finanziario Pluriennale, sull’Africa e sul Progetto ReSOMA, un network di ricercatori, politici e rappresentanti della società civile sulle tematiche della migrazione, dell’integrazione e dell’asilo.

 

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[1] Tale stima è l’esito della somma di cinque diversi gruppi. Il primo gruppo è quello dei cittadini stranieri (quindi privi della cittadinanza italiana) minorenni; la seconda popolazione è composta dagli stranieri maggiorenni nati in Italia e di età compresa tra i 18 e i 35 anni che, per varie ragioni, non hanno ancora acquisito la cittadinanza italiana. Si aggiungono a questi i cittadini stranieri di età compresa tra i 18 e i 35 anni, giunti in Italia da minorenni. Vanno aggiunti i nuovi cittadini acquisiti, ovvero coloro che hanno acquisito la cittadinanza italiana. Infine va aggiunto il dato dei figli di coppia mista, nati in Italia e che hanno la cittadinanza italiana.