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Verso una nuova solidarietà

Prime osservazioni riguardo al Patto europeo sulla migrazione e l’asilo

 

1. Introduzione

Di fronte al nuovo Patto sulla migrazione e l’asilo presentato dalla Commissione europea il 23 settembre sono possibili molteplici considerazioni stante la complessità sia del tema che del documento.

In questa sede peraltro ci si limiterà, ponendosi dal punto di vista dei singoli Stati e in particolare dal punto di vista dell’Italia, a qualche osservazione a partire da due interrogativi.

Propone, il documento, una qualche risposta europea all’annosa questione del consentire ai richiedenti asilo di giungere legalmente in Europa sfuggendo ai trafficanti?

Propone, il documento, regole o comunque meccanismi per una qualche maggior condivisione tra gli Stati membri dell’Unione degli oneri derivanti dai flussi di richiedenti asilo?

Certo, i flussi dei richiedenti asilo hanno posto in questi anni e pongono in Europa anche altre sfide importanti come ad esempio quella di avere procedure d’esame delle domande nello stesso tempo eque e celeri o quella di avere sistemi di accoglienza capaci davvero di rendere possibile l’integrazione. E d’altra parte, quasi tutti gli Stati sono chiamati a ripensare anche i modelli sin qui seguiti per l’ingresso dei migranti economici (che del resto, come è ben noto, oggi si intreccia in modo patologico con quello dei richiedenti asilo).

Ma non v’è dubbio che da tempo, e ancora oggi, i drammi legati alla gestione dei flussi di richiedenti asilo, da parte di organizzazioni criminali, e le difficoltà che sperimentano i Paesi europei, in prima linea nel gestire le ondate di arrivi legate a tali flussi, sono al centro dell’attenzione e delle richieste di un maggior ruolo dell’Europa.

Questa la ragione della scelta di cui sopra circa gli interrogativi di riferimento in queste pagine.

2. A proposito della costruzione di canali legali d’arrivo per i richiedenti asilo

Quanto al primo dei due interrogativi di cui sopra, ossia quello concernente la definizione di interventi volti a dare ai richiedenti asilo un’alternativa rispetto all’affidarsi ai trafficanti, va subito detto che nel Patto, pur trattandosi di un testo assai ampio, non ci sono indicazioni concrete a riguardo. Quindi la questione resta sostanzialmente affidata in toto ai singoli Stati che finora hanno operato con limitati interventi ad hoc di rilascio di visti, talora legati a “corridoi umanitari” (così ha fatto anche l’Italia) senza nemmeno avvicinarsi alla creazione di una alternativa ai canali illegali.

Dopo anni di dibattito anche a livello europeo sul “che fare” a questo proposito può stupire che nel Patto (che pure considera in più punti il problema dei flussi “illegali”) non ci siano proposte concrete a riguardo. Peraltro si conferma che se a livello nazionale una questione, come nel caso di quella dei canali legali d’arrivo per i richiedenti asilo, è molto controversa e non emergono idee condivise sulle iniziative da assumere, è impossibile che dall’Unione – per quella che oggi è l’Unione – possa venire qualche input significativo.

 

3. A proposito della condivisione degli oneri derivanti dai flussi di richiedenti asilo

Quanto invece al secondo dei due interrogativi di cui sopra, ossia quello concernente il tema di una maggiore condivisione tra gli Stati dell’Unione degli oneri derivanti dai flussi di richiedenti asilo, il Patto propone indicazioni concrete ma di limitata portata innovativa e nel complesso di limitata efficacia. Per individuarle, va considerata in particolare la Proposal for a regulation of the European Parlament and of the Council on aslylum and migration management.

Ciò premesso, va anzitutto rilevato che nella Proposal la questione viene affrontata su due livelli distinti, quello dei criteria for determining the Member State responsible per ciascun richiedente asilo che giunga in Europa, e quello dei solidarity mechanisms.

La condivisione degli oneri, infatti, può anzitutto realizzarsi a livello di definizione dello Stato competente, potendosi in particolare individuare – in deroga al criterio proprio del diritto internazionale – uno Stato diverso da quello di arrivo. In secondo luogo, essa può realizzarsi a livello di ulteriori meccanismi di solidarietà capaci di portare a una condivisione degli oneri in aiuto di quegli Stati che, applicandosi i criteri per l’individuazione dello Stato competente, dovessero trovarsi, in particolari concrete circostanze, ad avere a carico un numero eccessivo di richiedenti asilo.

 

4. La condivisione attraverso le regole sulla competenza

Quanto al primo livello, quello dei criteri per determinare lo Stato competente per il richiedente asilo, va premesso che, per quanto sopra ricordato, non assume particolare rilievo l’ipotesi dell’arrivo con visto che perciò qui non verrà specificamente considerata. Per gli altri casi, la disciplina indicata nella Proposal tiene ferma la regola base, propria del diritto internazionale e anche del cosiddetto regolamento Dublino, della responsabilità del Paese di primo arrivo, con però una serie di eccezioni:

  • se si tratta di un minore non accompagnato, ove egli abbia familiari legalmente residenti in un altro Paese dell’Unione, quest’ultimo dovrebbe essere di regola competente per il suo caso (art. 15, commi 2 e 3, della Proposal), altrimenti dovrebbe essere responsabile, in deroga al criterio del Paese di primo arrivo, quello dove il minore chiederà asilo (che ovviamente potrà anche essere quello di primo arrivo, ma non necessariamente) (art. 15, comma 5). Questa disciplina, qualora venisse approvata, sarebbe innovativa e consentirebbe non solo di ridurre gli oneri a carico degli Stati di primo arrivo ma anche di avere un ordinamento più adeguato rispetto al principio del superiore interesse del minore (the best interest of the child) quale principale metro di giudizio come formalizzato per la prima volta nell’art. 3 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del minore del 1989. Ciò appare evidente per quel che riguarda l’immediato ricongiungimento familiare; ma varrebbe anche per la possibilità del minore di chiedere asilo in uno Stato diverso da quello di primo arrivo poiché in molti casi i minori non accompagnati sono in grado di individuare correttamente il Paese che offre loro le migliori chance. Può essere criticato, però, il fatto che non si dia rilievo, ferma restando la prioritaria rilevanza degli eventuali legami familiari, a competenze linguistiche o al livello di formazione del minore che potrebbero rendere più agevole la sua integrazione in un Paese diverso da quello dell’Unione dove le circostanze l’hanno portato a trovarsi e a chiedere asilo
  • se, al di là del caso di cui sopra del minore non accompagnato, si tratta comunque di una persona con un familiare beneficiario di protezione internazionale o richiedente asilo in un determinato Paese dell’Unione quest’ultimo – che ben può essere diverso da quello di arrivo di tale persona – dovrebbe provvedere all’accoglienza (art. 16 e art. 17). Anche questa disciplina, qualora venisse approvata, sarebbe innovativa e costituirebbe un importante superamento – al di là del caso particolare dei minori non accompagnati – del tanto criticato criterio del “primo paese di approdo sicuro” previsto dal diritto internazionale e dal cosiddetto regolamento Dublino. Anche in questo caso, si noti nell’interesse non solo degli Stati di primo arrivo che rischiano di andare incontro ad oneri eccessivi per l’accoglienza, ma anche degli stessi richiedenti asilo che beneficerebbero di un immediato ricongiungimento familiare
  • se non ricorrono le condizioni di cui ai due punti precedenti, ove il richiedente asilo fosse in possesso di un titolo di studio rilasciato da un Paese dell’Unione quest’ultimo dovrebbe essere comunque quello competente (art. 20). Tale criterio appare ragionevole, per il suo legame con le chance di integrazione, e innovativo, tuttavia esso appare disegnato in modo troppo restrittivo per cui produrrebbe effetti minimi e darebbe luogo a una irrazionale disparità di trattamento. Va considerato, infatti, che pochi richiedenti asilo hanno titoli di studio rilasciati da uno Stato dell’Unione, mentre molti richiedenti asilo – in particolare tra quelli provenienti dall’Africa – hanno studiato nel loro paese secondo programmi legati a quelli propri di un determinato Stato dell’Unione – di regola la ex potenza coloniale di riferimento, che spesso riconosce tali percorsi anche ad esempio ai fini dell’acquisto della cittadinanza. E allora appare una disparità irrazionale il fatto nella Proposal non si valorizzi anche in questo caso il dato “titolo di studio” per individuare il Paese competente sussistendo la medesima ratio in relazione alle chance di integrazione.

 

5. La condivisione attraverso “meccanismi di solidarietà”

Come sopra accennato, nella Proposal troviamo anche ulteriori meccanismi di solidarietà capaci di portare a una condivisione degli oneri in aiuto di quegli Stati che, applicandosi i criteri per l’individuazione dello Stato responsabile, ancorché modificati nei termini di cui sopra, dovessero comunque trovarsi in particolari concrete circostanze ad avere un numero eccessivo di richiedenti asilo.

A questo proposito, va anzitutto osservato che l’attivazione di tali solidarity mechanisms – salvo il caso di arrivi a seguito di disembarkations following seach and rescue operations – avrebbe comunque un presupposto formale consistente (secondo quanto previsto dall’art. 50 della Proposal) in quello che viene definito assessment of migratory pressure.

L’accertamento in questione, atto di competenza della Commissione, dovrebbe a sua volta presupporre una situazione così configurata: un periodo di sei mesi nei quali uno Stato si trova in una situazione decisamente più difficile di quella degli altri per quel che riguarda il numero di domande d’asilo ricevute, il numero di stranieri in posizione irregolare individuati sul territorio, e alcuni altri elementi. A seguito dell’accertamento scatterebbero, secondo indicazioni date dalla Commissione, solidarity mechanisms a favore del Paese “in difficoltà” che potrebbero consistere (secondo quanto previsto dall’art. 45) in

  • misure di relocation di richiedenti asilo verso altri Paesi dell’Unione
  • intervento di altri Paesi dell’Unione a sostegno del rimpatrio di irregolari (return sponsorship)
  • misure di relocation di beneficiari di protezione internazionale verso altri Paesi dell’Unione
  • interventi di altri paesi dell’Unione a sostegno dell’accoglienza.

Risulta evidente che il disegno è molto lontano da quel modello di relocation automatica secondo quote auspicato dall’Italia tale per cui se, ad esempio, per il venire meno degli accordi con la Turchia 10mila richiedenti asilo giungessero in Grecia automaticamente tremila verrebbero assegnati alla Germania, duemila verrebbero assegnati alla Francia, mille all’Italia ecc.

Nell’assetto proposto dalla Commissione, per cominciare, salvo il caso di arrivi a seguito di search and rescue operations (un’ipotesi marginale nell’attuale contesto), la solidarietà scatterebbe solo a notevole distanza di tempo dall’inizio della crisi. Per fare un esempio: se a partire da marzo del prossimo anno si riscontrassero arrivi via mare su larga scala in Italia, solo in agosto ci sarebbero le condizioni per attivare i meccanismi di solidarietà che perciò necessariamente si avvierebbero in concreto non prima dell’autunno.

Inoltre, nell’assetto previsto dalla Commissione, la relocation dei richiedenti asilo sarebbe solo uno degli strumenti possibili; potrebbe essere ad esempio “solidale” anche un Paese che si limitasse a sostenere quello “sotto pressione” attraverso aiuti. Anche al di là del ritardo, si lascerebbe dunque una grande spazio alla discrezionalità dei diversi Stati col rischio di non realizzare un vero ed efficace burden sharing.

 

6. Osservazioni conclusive

A pochi giorni dal lancio del tanto atteso “patto” europeo sull’immigrazione e l’asilo, la prima impressione è di avere di fronte uno progetto che così com’è, pur essendo non privo di potenzialità, appare inidoneo ad apportare quei progressi da tempo e da più parti attesi a livello di gestione condivisa a livello europeo dell’accoglienza dei richiedenti asilo. Come abbiamo avuto modo di evidenziare, ci sono apprezzabili elementi di innovazione, soprattutto in alcuni ambiti, ma è evidente il gap esistente tra esigenze, enunciati di principio (di cui il Patto certo non difetta), ed effettive previsioni. Non solo non c’è nulla in sostanza quanto alla creazione di canali legali d’arrivo per i richiedenti asilo (e allora tutti i discorsi sul contrasto dei flussi “illegali” rischiano di risolversi in vuoti enunciati o in soluzioni negatrici dei diritti), ma anche la questione della condivisione degli oneri viene affrontata con una timidezza davvero eccessiva.

Basti pensare a come il fattore tempo sia uno dei principali problemi che affliggono i sistemi di accoglienza quando sono messi sotto pressione da flussi eccezionali, a come in tali situazioni sia essenziale “distribuire” rapidamente in qualche modo i richiedenti asilo se non si vuole assistere a drammatiche tensioni a livello locale e a violazioni dei diritti umani. Come può apparire allora ragionevole la previsione di un periodo di più di sei mesi in cui comunque i richiedenti asilo sarebbero bloccati nel Paese in emergenza in attesa di una qualche azione d’aiuto?

Preoccupa poi l’eccessiva discrezionalità lasciata agli Stati quanto ai modi della solidarietà. Alla fine, l’impressione è che da questo punto di vista non ci sia nel “patto” molto di più di quel che si è fatto sinora attraverso accordi di redistribuzione negoziati tra singoli Stati (come quello cosiddetto “di Malta” che ha portato alla redistribuzione di più di 500 richiedenti asilo).

Pur essendo diffusa la convinzione dell’inadeguatezza del regolamento Dublino, e pur essendo parimenti diffusa l’idea che l’Unione dovrebbe assumere un ruolo forte nell’accrescere la solidarietà tra gli Stati, non si annuncia una svolta. E si tenga presente tra l’altro che quel testo così timido che abbiamo davanti è solo una proposta, soggetta a possibili interventi restrittivi dei singoli Stati durante il successivo procedimento (se un procedimento si svilupperà).

E tutto questo in un contesto precario che, non dimentichiamolo, ha “retto” in questi anni solo a prezzo di situazioni drammatiche (ad esempio in Grecia) e grazie all’apertura tedesca del 2015 ai profughi siriani e alla buona volontà di istituzioni, formazioni sociali e comunità manifestatasi per fortuna non di rado (ad esempio in molti frangenti e contesti in Italia); e poi grazie ai discutibili accordi europei con la Turchia e agli ancor più discutibili accordi italo-libici.

All’indomani della presentazione del “patto”, dunque, non si può che formulare l’auspicio perché si cerchi di arricchirlo con qualche misura più incisiva che, secondo le indicazioni di cui sopra, determini una maggiore e più efficace solidarietà tra gli Stati e, nello stesso tempo, una distribuzione dei richiedenti asilo più attenda a porre ciascuno nel contesto più idoneo per l’integrazione.

 

di Ennio Codini, responsabile Settore Legislazione Fondazione ISMU e Marina D’Odorico, ricercatrice Settore Legislazione Fondazione ISMU [1]

6.10.2020

***

[1] Il lavoro è frutto di un lavoro comune; tuttavia, i paragrafi 1, 2 e 5 vanno attribuiti a Ennio Codini, mentre i paragrafi 3 e 4 vanno attribuiti a Marina D’Odorico.