Un provvedimento del segno dell’emersione dei rapporti di lavoro irregolari
Già le parole con cui si apre l’art. 110-bis del decreto “Rilancio” segnalano che, nel giro di poche settimane, il progetto di regolarizzazione ha mutato decisamente la sua natura. Si era parlato, inizialmente, di una regolarizzazione volta a consentire a quegli imprenditori agricoli che erano soliti avvalersi nel periodo maggio-ottobre di lavoratori stranieri stagionali il cui ingresso è stato bloccato dall’emergenza sanitaria di avvalersi in loro sostituzione di stranieri irregolarmente soggiornanti la cui posizione sarebbe stata “regolarizzata”. In relazione a ciò si era sviluppato un dibattito tra i fautori – secondo i quali questa sarebbe stata la via corretta per evitare una grave crisi del settore agricolo – e i critici, per i quali invece sarebbe stato possibile e opportuno soddisfare il fabbisogno di lavoro agricolo stagionale valorizzando la disponibilità degli italiani che hanno perso o perderanno il lavoro a seguito della crisi. Ebbene, se partiamo da quest’idea originaria e consideriamo le indicazioni date in apertura dell’art. 110-bis circa le finalità della regolarizzazione da esso prevista, vediamo emergere una logica decisamente diversa.
Dopo un cenno al tema della salute – che rinvia a una finalità già presente nell’originario progetto ma non in posizione centrale come del resto non è in concreto in posizione centrale nemmeno nella regolarizzazione di cui all’art. 110-bis – nella disposizione si dice che la regolarizzazione è disposta al fine di favorire l’emersione di rapporti di lavoro irregolari. Si è passati dunque dall’idea di una regolarizzazione volta a consentire la creazione di nuovi rapporti di lavoro per rispondere a una specifica esigenza del mercato a quella di una misura volta a regolarizzare preesistenti rapporti di lavoro irregolari. È vero che nel primo comma dell’art. 110-bis si parla poi di due possibilità, quella di dichiarare la sussistenza di un rapporto di lavoro irregolare in corso, ma anche quella di concludere un [nuovo] contratto di lavoro subordinato con cittadini stranieri [irregolarmente] presenti sul territorio, ma che la finalità sia essenzialmente di regolarizzare preesistenti rapporti di lavoro è poi confermato – anche al di là dell’indicazione legislativa esplicita di cui si è detto – da tre ulteriori elementi.
Nella rubrica dell’articolo 110-bis si parla solo di emersione di rapporti di lavoro. Al quinto comma dell’articolo si stabilisce poi che l’istanza per avviare il processo di regolarizzazione andrà presentata dal 1° giugno al 15 luglio 2020; il che mette ai margini la creazione di nuovi rapporti concernenti il lavoro agricolo stagionale perché, se è vero che ai sensi del medesimo comma 5 nelle more della definizione dei procedimenti la presentazione delle istanze consente lo svolgimento dell’attività lavorativa, in ogni caso comunque è escluso il lavoro stagionale per tutto il mese di maggio e poi può essere difficile per un datore di lavoro creare a giugno un nuovo rapporto nell’incertezza sull’esito della procedura.
Infine, rende evidente l’allontanamento del legislatore dal tema delle nuove assunzioni per lo svolgimento di lavori stagionali in agricoltura la previsione del terzo comma dell’art. 110-bis secondo cui la regolarizzazione potrà riguardare non solo rapporti di lavoro stagionali in agricoltura ma anche in generale rapporti di lavoro nel settore primario nonché il lavoro domestico di sostegno al bisogno familiare.
L’apertura anche ai rapporti di lavoro in corso e quella all’intero settore primario nonché al lavoro domestico e la tempistica inoltre inevitabilmente faranno sì che, non solo sul piano delle finalità, ma anche sul piano dei concreti effetti questa del 2020 sarà una regolarizzazione dove i nuovi contratti legati al lavoro stagionale in agricoltura avranno un peso del tutto marginale e certo non caratterizzante perché oggi come in passato per lo più gli immigrati irregolarmente soggiornanti lavorano e, in quanto possibile, questa loro attuale esperienza, e non un possibile nuovo impiego come stagionali in agricoltura, sarà il riferimento per ottenere infine un permesso.
Una regolarizzazione settoriale. Quali gli effetti sul numero degli irregolari?
Il mutamento quanto alla finalità primaria e l’estensione del campo dei settori di riferimento porteranno di certo ad una regolarizzazione di portata più ampia di quella inizialmente ipotizzata. Tuttavia, si tratterà pur sempre di una regolarizzazione settoriale. Essa, come già messo evidenza, potrà riguardare, ai sensi del terzo comma dell’art. 110-bis, rapporti di lavoro nel settore primario nonché il lavoro domestico di sostegno al bisogno familiare, ma non riguarderà il lavoro in generale. Sarà dunque da questo fondamentale punto di vista più simile ad esempio alla c.d. Maroni del 2009-2010 che non alla regolarizzazione sviluppatasi a partire dalla legge n. 189 del 2002 c.d. Bossi-Fini.
In ciò certo si può vedere una contraddizione rispetto alla finalità di “far emergere” rapporti di lavoro irregolari, o comunque una sorta di irragionevolezza nel perseguirla. Se l’originaria finalità di rispondere a specifiche esigenze urgenti del settore agricolo avrebbe giustificato una regolarizzazione limitata ai nuovi contratti per lavoro stagionale in tale settore, la finalità dell’art. 110-bis di “far emergere” rapporti di lavoro rende invece ingiustificata la scelta di “far emergere” i rapporti concernenti il lavoro nel settore primario e in quello domestico e non gli altri che certo non appaiono in alcun modo – che si considerino le persone coinvolte o anche altri interessi – meno meritevoli di tutela. Si comprendono le ragioni politiche dietro la scelta di evitare una regolarizzazione omnibus, ma avrebbero potuto e dovuto essere perseguite evitando una discriminazione irragionevole.
Al di là di questo, va osservato che il carattere settoriale della regolarizzazione limiterà comunque l’efficacia del provvedimento rispetto all’obbiettivo, non esplicitato dal legislatore ma tipico di tutte le regolarizzazioni in materia di immigrazione, di ridimensionare drasticamente il numero degli immigrati irregolarmente soggiornanti.
Non è peraltro facile ipotizzare al momento quella che potrà essere l’efficacia di questa regolarizzazione rispetto a tale obbiettivo. A tal fine, comunque, può essere utile un raffronto con l’efficacia di due regolarizzazioni del passato che hanno operato in un contesto non così dissimile dall’attuale anche quanto al numero degli irregolari, ossia quella sviluppatasi a partire dalla legge c.d. Bossi-Fini e la c.d. Maroni.
A riguardo va osservato anzitutto che, come emerge dalle diverse analisi sviluppate dalla Fondazione ISMU con riferimento a tali regolarizzazioni, esse non hanno portato ad avere anche solo per un anno un numero di irregolari trascurabile. Questo per due ragioni: non ne hanno beneficiato tutti gli stranieri irregolarmente presenti alla data limite prevista per poter accedere; in entrambi i casi il numero degli stranieri giunti dopo tale data limite e da subito o comunque nel tempo caduti nell’irregolarità è rapidamente cresciuto.
Anche dopo la regolarizzazione di maggiore impatto, ossia quella sviluppatasi a partire dalla legge Bossi-Fini che ha sanato oltre 600mila posizioni, ci si è ritrovati con oltre 200mila irregolari. Resta comunque, e non stupisce, il dato per cui quella sviluppatasi a partire dalla Bossi-Fini in quanto aperta a tutto il mondo del lavoro ha avuto un impatto maggiore di una regolarizzazione settoriale come la Maroni che ha sanato meno di 300mila posizioni avendosi poi, alla fine del processo, più di 300mila immigrati senza permesso di soggiorno.
Tutto ciò potrebbe indurre a stimare per la regolarizzazione di cui al decreto “Rilancio”, a fronte di un numero di irregolari simile a quello con cui si misurarono le due sopra citate regolarizzazioni, un risultato simile a quello della Maroni. Va però osservato che le due citate precedenti regolarizzazioni si sono sviluppate in contesti caratterizzati da flussi migratori – immediatamente irregolari o comunque a rischio di irregolarità nello svilupparsi del percorso migratorio – assai maggiori degli attuali; e allora la capacità della presente di portarci ad avere, alla fine del processo, relativamente pochi irregolari soggiornanti potrebbe essere da ciò accresciuta. Inoltre, non va trascurato che la presente regolarizzazione è sì settoriale ma più ampia della Maroni riguardando non solo, come quella, il lavoro domestico, ma anche il lavoro nel settore primario. Tutto ciò induce ragionevolmente a pensare a un risultato che, senza raggiungere quello della regolarizzazione sviluppatasi a seguito della Bossi-Fini potrebbe essere, da questo punto di vista, “migliore” di quello conseguito con la Maroni: più di 300mila posizioni sanate e un numero di irregolari a fine processo al di sotto di quota 300mila.
Non va trascurato, però, che c’è un fattore del quale non si è tenuto conto per formulare la previsione di cui sopra e che però potrebbe portare a un risultato della presente regolarizzazione inferiore rispetto a quello ipotizzato. Ci si riferisce alla crisi economica che vivrà l’Italia nei prossimi mesi. Non se n’è tenuto conto perché ad oggi è impossibile disegnare con accettabile precisione i contorni di tale crisi e anche per questo stimare come essa, interagendo con i costi previsti per la regolarizzazione, potrà pesare sulla scelta dei datori di lavoro di “regolarizzare” oppure no. Tuttavia, specie pensando agli scenari peggiori, non si può certo escludere una “capacità” della crisi di indurre molti datori di lavoro a dire di no a una regolarizzazione della quale altrimenti si sarebbero avvalsi.
Una regolarizzazione che incentiverà flussi non regolati? Una regolarizzazione con effetti stabili nel tempo?
Con riguardo alle regolarizzazioni del passato ci si è interrogati sul loro possibile effetto di incentivazione dei flussi non regolati – mostrando esse una propensione dell’ordinamento a “sanare” prima o poi le posizioni – e sulla loro capacità di dar luogo a effetti stabili nel tempo permanendo gli immigrati di esse beneficiari nella legalità quanto al soggiorno.
Invero, a fronte della presente regolarizzazione tali temi non sono stati particolarmente dibattuti. Hanno tenuto banco altre questioni, da ultimo quella degli effetti in termini di sanatoria del provvedimento, ossia del suo impatto sulle espulsioni e, ancor più, sulle ipotesi di responsabilità penale connesse all’immigrazione e allo sfruttamento del lavoro.
Tuttavia, senza voler perciò sminuire tali argomenti si ritiene importante chiudere queste prime considerazioni con qualche parola sul possibile effetto di incentivazione dei flussi non regolati della presente regolarizzazione e sulla sua capacità di dar luogo a effetti stabili permanendo poi nel tempo gli immigrati di essa beneficiari nella legalità quanto al soggiorno.
A riguardo, le analisi sviluppate dalla Fondazione ISMU a proposito degli effetti delle regolarizzazioni del passato insieme ad altri fattori inducono a un cauto ottimismo.
Quanto al temuto (possibile) effetto di incentivazione dei flussi non regolati, va osservato che In passato l’Italia ha sperimentato imponenti ondate migratorie, in buona misura non governate dal diritto, e temporalmente molte regolarizzazioni sono andate a porsi accanto a tali ondate, ma i dati sui flussi non autorizzano a dire che questa o quella regolarizzazione abbia portato ad un impennarsi nel tempo successivo del numero degli arrivi non regolati. A ciò si può aggiungere che i flussi attuali non regolati sono per lo più costituiti da richiedenti asilo che giungono attraverso percorsi drammatici ed è difficile pensare che con riguardo a flussi siffatti – con la complessità dei fattori di spinta e di attrazione che li caratterizza – l’idea che magari in un qualche tempo futuro anche in caso di reiezione della domanda un’eventuale regolarizzazione potrebbe portare ad avere un permesso possa essere un fattore molto rilevante.
Quanto poi alla possibilità o meno di vedere nel medio-lungo periodo i beneficiari di questa regolarizzazione rimanere nella posizione di soggiornanti con permesso, si può osservare quanto segue. Chi vedrà “emergere” il proprio rapporto di lavoro o ne porrà in essere uno nuovo otterrà comunque un permesso di soggiorno, temporaneo, certo, ma rinnovabile. Ebbene, l’esperienza del passato ha mostrato che per lo più chi, a seguito di regolarizzazione, ha ottenuto un permesso è poi riuscito a rinnovarlo mantenendo la posizione di lavoratore “in regola”. Significativamente, dopo l’imponente regolarizzazione di cui alla Bossi-Fini per anni gli uffici hanno subito il “peso” eccessivo di troppe procedure derivante anche dai continui rinnovi di quei seicentomila che avevano beneficiato della misura (il che ha poi imposto adeguamenti procedurali e organizzativi). Questo induce a ottimismo, anche se non vanno trascurati i possibili effetti di segno contrario di una crisi economica che potrebbe essere drammatica e non breve.
di Ennio Codini, Responsabile Settore Legislazione Fondazione ISMU