Accogliendo una sollecitazione del Consiglio GAI, viene affrontato il tema dei rimpatri di cittadini afghani. In proposito, occorre ricordare che nell’aprile di quest’anno era stata sottoscritta una dichiarazione comune UE-Afghanistan sulla cooperazione nel settore della migrazione, succeduta al precedente Joint Way Forward del 2016, che prevedeva anche l’impegno dell’Afghanistan a riammettere i propri cittadini, la cui domanda di protezione internazionale fosse stata rigettata. Se il piano riconosce che i rimpatri in Afghanistan non sono attualmente possibili, e dichiara pertanto sospesa l’applicazione della dichiarazione comune, esso pur nell’attuale situazione incoraggia il ricorso alle clausole contenute negli accordi di riammissione che permetterebbero agli Stati membri dell’UE di rimpatriare gli afghani in altri Paesi terzi. Sul rimpatrio di cittadini afghani, nell’attuale scenario, aveva, tuttavia, assunto una posizione di contrarietà UNHCR, che aveva invitato gli Stati a sospendere i rimpatri forzati in Afghanistan, anche nei confronti di coloro che si sono visti respingere le domande di asilo, fino alla stabilizzazione della situazione nel Paese, ma anche verso altri Paesi della regione.
Molto diverso è il tono della risoluzione sull’Afghanistan adottata il 16 settembre dal Parlamento europeo e preceduta da uno scambio tra i membri del Parlamento europeo e l’alto rappresentante dell’UE per gli affari esteri e la politica di sicurezza Josep Borrell durante la sessione plenaria. In essa si esprime anzitutto “solidarietà con gli afghani che sono fuggiti dal Paese e con quelli che rimangono” e si afferma “che questa è prima di tutto una crisi umanitaria e dei diritti umani”. Il Parlamento europeo ha, infatti, ricordato che numerose sono le categorie di persone vulnerabili (donne, minoranze etniche e religiose, membri della società civile, accademici, giornalisti, avvocati, giudici, artisti, politici e funzionari pubblici del precedente governo afghano), pertanto una gran parte della popolazione è esposta al rischio di gravi discriminazioni, vessazioni, violenze e uccisioni per ritorsione. La risoluzione chiede, quindi, alla Commissione e agli Stati membri di “perseguire una politica d’asilo umana in cui l’UE si assuma la sua responsabilità morale nell’accoglienza e nell’integrazione nel pieno rispetto della Convenzione di Ginevra del 1951”. Inoltre sottolinea che la politica dell’UE dovrebbe, in via prioritaria, ampliare le possibilità di reinsediamento per coloro che sono più a rischio e più vulnerabili, nonché prevedere ulteriori percorsi complementari, come i visti umanitari e un programma speciale di visti per le donne afghane che cercano protezione dal regime talebano. Il Parlamento ha, inoltre, esortato gli Stati membri a rivalutare le domande di asilo attuali e recenti, comprese quelle respinte, alla luce dei recenti sviluppi; escludendo la possibilità di procedere ai rimpatri in ogni caso.
In conclusione, quindi, le prime reazioni dell’Unione europea confermano quanto le spinte nazionali, e le preoccupazioni di contenimento dei flussi, pervadano fortemente le dinamiche istituzionali nel settore della migrazione. Anche di fronte ad una crisi umanitaria di tale portata, gli Stati membri hanno reagito ribadendo la chiusura delle frontiere europee, e preoccupandosi (come detto espressamente) di far arrivare il messaggio forte e chiaro, con vaghe aperture verso ipotesi, volontarie, di reinsediamento delle categorie più vulnerabili (soprattutto donne e bambini). La dura e fredda posizione assunta dal Consiglio ha suscitato accese critiche da parte della società civile, le cui sollecitazioni per la promozione di canali di arrivo sicuri potrebbero trovare un accoglimento nel Forum di alto livello sul reinsediamento dedicato alla situazione in Afghanistan, convocato per il 7 ottobre dalla Commissaria Johansson e dall’alto rappresentante dell’UE Josep Borrell.
Nel corso della settimana di riunioni ad alto livello, in occasione dell’avvio della 76esima sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, il 23 settembre, lo stesso Alto Rappresentante presiederà la prima riunione della piattaforma regionale di cooperazione politica sull’Afghanistan, promossa dall’Unione europea, e che riunirà i Paesi limitrofi e le Nazioni Unite per discutere la situazione nel paese e le possibili azioni da intraprendere, anche con riferimento ai movimenti migratori. E il 24 settembre il Presidente del Consiglio europeo Charles Michel rilascerà una dichiarazione, a nome dell’UE, durante il dibattito dell’Assemblea generale. La crisi afghana rappresenta indubbiamente una nuova sfida per l’Unione europea. Sarà interessante seguirne l’evoluzione nei prossimi mesi per valutare se essa costituirà un’occasione per il superamento di quelle divisioni che ne hanno, negli ultimi anni, paralizzato l’azione in tale settore ovvero confermerà la rigidità delle posizioni nazionali e le difficoltà di attuazione delle politiche comuni di immigrazione e asilo.