Quando la protezione temporanea giunge al termine, se le persone non possono beneficiare dell’ammissione, si provvede al rimpatrio, previo esame di eventuali impellenti ragioni umanitarie che possono rendere impossibile o non ragionevole il rimpatrio in casi concreti (art. 22). Condizioni di soggiorno possono, in particolare, essere adottate in ragione dello stato di salute, laddove non ci si possa ragionevolmente attendere che le persone siano in condizioni di viaggiare (ad esempio, nel caso in cui l’interruzione del trattamento causerebbe loro gravi ripercussioni negative) e nei confronti delle famiglie con minori che frequentano la scuola in uno Stato membro, ai quali può essere consentito di portare a termine il periodo scolastico in corso (art. 23).
La direttiva è stata recepita in Italia con il D .lgs. 7.4.2003, n. 85, che ne disciplina le modalità di attuazione, prevedendo in particolare che le misure di protezione temporanea, utili a fronteggiare l’afflusso massiccio di sfollati accertato dal Consiglio dell’Unione europea, siano stabilite con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri (D.P.C.M.), adottato ai sensi dell’art. 20 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero. Il D.P.C.M deve contenere, tra l’altro, la data di decorrenza della protezione temporanea, le categorie di sfollati ammessi alla protezione, la disponibilità ricettiva per l’accoglienza degli sfollati e le procedure per il rilascio del permesso di soggiorno esteso allo studio e al lavoro, quelle relative alla disciplina degli eventuali ricongiungimenti familiari e alla registrazione dei dati personali degli sfollati. Occorre sottolineare che, come puntualizzato all’art. 4, c. 1, lett. e) D. lgs, 85/2003, del numero dei permessi di soggiorno rilasciati si tiene conto nell’adozione del decreto flussi annuale. Pertanto, la concessione della protezione temporanea potrebbe avere delle ripercussioni sui nuovi ingressi per motivi di studio/lavoro. Gli Stati membri sono tenuti a consentire alle persone che godono della protezione temporanea, per un periodo non superiore alla durata di quest’ultima, di esercitare qualsiasi attività di lavoro subordinato o autonomo, nel rispetto della normativa applicabile alla professione, nonché di partecipare ad attività nell’ambito dell’istruzione per adulti, della formazione professionale e delle esperienze pratiche sul posto di lavoro. Per quanto riguarda i minori di 18 anni, l’obbligo si estende all’accesso al sistema educativo al pari dei cittadini dello Stato membro ospitante. L’accesso per i maggiorenni è rimesso alla discrezionalità degli Stati membri. Le modalità specifiche per l’esercizio dei diritti spettanti ai beneficiari della protezione internazionale, così come per presentare la richiesta, sono pertanto rimesse alla definizione da parte del suddetto D.P.C.M. Nel frattempo, con ordinanza del dipartimento della protezione civile del 4 marzo, è stato precisato che lo svolgimento di attività lavorativa sia in forma subordinata, anche stagionale, che autonoma sarà consentita alle persone provenienti dall’Ucraina a seguito della crisi in atto, sulla base della sola richiesta di permesso di soggiorno presentata alla competente Questura. Sarà, in ogni caso, importante il coordinamento con le disposizioni del D.P.C.M. La Commissione europea ha, in aggiunta, annunciato la pubblicazione di linee guida per consentire un’applicazione coordinata tra gli Stati membri della direttiva 2001/55.
La scelta operata dall’Unione europea, di dare finalmente attuazione ad uno strumento rimasto lettera morta per vent’anni, costituisce un dato di indubbio interesse. Certamente essa testimonia un approccio finalmente unitario e coeso degli Stati membri, data l’approvazione all’unanimità (sarebbero stati sufficienti 15 Stati membri per attuarla), ma non è detto che possa riflettersi sulle future scelte dell’Unione europea nella materia migratoria, che restano fortemente contraddistinte da un approccio restrittivo. Né, del resto, le divisioni possono dirsi cessate: se tutti gli Stati membri hanno convenuto sull’opportunità di applicare la protezione temporanea ai cittadini ucraini in fuga dalla guerra, i Paesi del gruppo di Visegrád e l’Austria si sono, invece, opposti ad un’ulteriore estensione. La decisione approvata costituisce, in effetti, l’esito di un compromesso rispetto alla proposta della Commissione, che ne aveva previsto l’applicazione anche ai cittadini di Paesi terzi o apolidi legalmente residenti in Ucraina e che non fossero in grado di ritornare in condizioni sicure e durevoli nel Paese o regione d’origine (tale ultimo requisito neppure applicabile ai soggiornanti di lunga durata). Nel testo finale, la protezione temporanea si applicherà alle persone che sono sfollate dall’Ucraina a partire dal 24 febbraio 2022 che siano: a) cittadini ucraini residenti in Ucraina prima del 24 febbraio 2022; b) apolidi e cittadini di Paesi terzi diversi dall’Ucraina che beneficiavano di protezione internazionale o di protezione nazionale equivalente in Ucraina prima del 24 febbraio 2022 e c) familiari delle persone di cui alle lettere a) e b). Gli Stati membri sono, inoltre, tenuti ad applicare la decisione o una protezione adeguata ai sensi del loro diritto nazionale nei confronti degli apolidi e dei cittadini di Paesi terzi diversi dall’Ucraina che possono dimostrare che soggiornavano legalmente in Ucraina prima del 24 febbraio 2022 sulla base di un permesso di soggiorno permanente valido rilasciato conformemente al diritto ucraino e che non possono ritornare in condizioni sicure e stabili nel proprio Paese o regione di origine. È invece solo facoltativa (con prevedibili differenze tra Stati membri), l’estensione della protezione temporanea ad altre persone, compresi gli apolidi e i cittadini di Paesi terzi diversi dall’Ucraina, che soggiornavano legalmente in Ucraina e che non possono ritornare in condizioni sicure e stabili nel proprio Paese o regione di origine. Un tema di rilievo, dato l’alto numero di studenti universitari stranieri nel Paese (quasi 80.000 nel 2020, soprattutto provenienti da Africa e India) e di lavoratori, per i quali sono stati denunciati trattamenti discriminatori e gravi difficoltà nel partire.
È, invece, positivo che gli Stati membri abbiano convenuto (in una dichiarazione allegata alla decisione di esecuzione (UE) 2022/382) di non applicare l’art. 11 della direttiva 2001/55/CE (che prevede l’obbligo di riammissione di una persona del titolare della protezione temporanea nel proprio territorio qualora essa soggiorni o tenti di entrare illegalmente nel territorio di un altro Stato membro nel periodo previsto dalla decisione del Consiglio) in relazione alle persone che godono della protezione temporanea in un determinato Stato membro, e che si trasferiscono in un altro Stato membro senza autorizzazione, salvo diverso accordo tra Stati membri su base bilaterale. Si tratta di un modo di attuare una redistribuzione delle persone nella pratica (appositamente nella decisione non è previsto alcun meccanismo di ricollocamento), così sostenendo “gli Stati membri che costituiscono i principali punti di ingresso dell’afflusso massiccio di sfollati dall’Ucraina che fuggono dalla guerra, oggetto della decisione di esecuzione del Consiglio del 4 marzo 2022, e di promuovere l’equilibrio degli sforzi tra tutti gli Stati membri”. Occorre ricordare che l’Ucraina figura nell’elenco di cui all’allegato II del regolamento (UE) 2018/1806 e i cittadini ucraini sono esenti dall’obbligo del visto all’atto dell’attraversamento delle frontiere esterne degli Stati membri per soggiorni la cui durata globale non sia superiore a 90 giorni su un periodo di 180 giorni. I cittadini ucraini, in quanto viaggiatori esenti dall’obbligo di visto, hanno quindi il diritto, dopo essere stati ammessi nel territorio, di circolare liberamente all’interno dell’Unione per un periodo di 90 giorni e su tale base possono scegliere lo Stato membro in cui intendono godere dei diritti connessi alla protezione temporanea e raggiungere i familiari e gli amici attraverso le importanti reti delle diaspore attualmente esistenti in tutta l’Unione (al 1° gennaio 2022 risultano regolarmente residenti in Italia circa 235.000 cittadini ucraini, la quinta comunità straniera, la seconda diaspora nell’UE, dopo la Polonia che ospita tra 1 e 2 milioni di cittadini ucraini). Qualora si spostassero dopo aver ottenuto la protezione temporanea, esse resterebbero legittimate ad avvalersi dei diritti derivanti dal suddetto status solo nello Stato membro che ha rilasciato il titolo di soggiorno, ma ciò non pregiudicherebbe la possibilità di uno Stato membro di decidere di rilasciare in qualsiasi momento un titolo di soggiorno (considerando 16). Si tratterebbe presumibilmente di un titolo fondato su norme nazionali.
Al di là del carattere sempre più restrittivo delle misure recentemente proposte nell’ambito migratorio nell’Unione europea, e degli obiettivi di contenimento da esse sottese, in passato non era mai stato possibile attuare la direttiva sulla protezione temporanea, in quanto la decisione necessaria costituisce un atto politico che presuppone un consenso largamente condiviso tra gli Stati membri e fino ad oggi era prevalsa diversità di visioni anche in occasione di afflussi massicci. L’approvazione all’unanimità il 4 marzo, seppur con alcuni distinguo in relazione ai cittadini di Paesi terzi che vivono in Ucraina, costituisce, quindi, anche un segnale politico alla Russia. Resta da vedere se debba essere ascritto alla ritrovata unità di fronte alla grave minaccia, a cui è esposto il continente europeo, oppure possa aprire la strada ad una rinnovata visione delle politiche migratorie, specialmente ove esse riguardino persone in fuga da regimi e situazioni di conflitto cruente e drammatiche.