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L’abitare migrante al tempo del Covid-19

COVID-19  2019-nCoV concept. Human hands holding various smart devices with coronavirus alerts on their screens. flat vector illustration

Uno degli aspetti fondamentali nella trasformazione radicale delle nostre esistenze al tempo della pandemia covid 19 è la questione abitativa in tutte le sue articolazioni. Il rimanere a casa quale efficace e antico strumento di distanziamento fisico e sociale per contenere il contagio ha messo in luce l’abitare e la domesticità quali variabili sociologiche da analizzare. Infatti, l’abitazione nella sua qualità dei servizi, nei suoi spazi adeguati ai bisogni, nella sua possibilità di essere un luogo in cui ripensare le relazioni familiari e il tempo sospeso della socialità in generale, rappresenta indubbiamente un criterio decisivo su cui riflettere per comprendere le disuguaglianze che attraversano il nostro paese.

Il vivere in un alloggio appropriato e sostenibile nei costi (affitto, mutuo) è una condizione di fondo che rimane sempre valida nella prospettiva della qualità della vita familiare. L’attuale emergenza sanitaria ha enfatizzato le già esistenti differenze sociali che si esprimono mediante la tipologia abitativa in cui si risiede, rimettendo al centro della discussione il problema storico dell’offerta di alloggi e delle condizioni dei quartieri popolari e periferici (Alietti, Agustoni, 2018). Se volgiamo lo sguardo sul mondo migrante che abita le nostre città, trasformate nel profondo dalla loro presenza e dalle loro attività economiche, la situazione appare indubbiamente critica per molti aspetti. Una criticità che si associa a quelle vissute dagli stessi cittadini italiani in una condizione di vulnerabilità e, sovente, condivisa dalla comune residenzialità nei quartieri popolari e/o nei quartieri di edilizia residenziale pubblica (Agustoni, Alietti, 2013). Da tempo l’ISMU si è occupato con ricerche e analisi delle politiche pubbliche, della questione abitativa dei cittadini immigrati nella sua complessità. Dovremmo sempre ricordarci che l’alloggio è uno dei pilastri fondamentali dell’integrazione nella società locale insieme all’inserimento lavorativo e professionale. Le indagini nel contesto lombardo realizzate per conto dell’Osservatorio Regionale per l’integrazione e la multietnicità (ORIM) sono una significativa testimonianza su questo orizzonte (Alietti, 2017; 2013). Ripercorrendo a ritroso le osservazioni sui dati raccolti è utile rammentare gli effetti della crisi del 2008 sulle dinamiche abitative delle popolazioni migranti, le quali con tutte le distinzioni rispetto alla gravità del caso, appaiono simili nel confronto con l’effetto sistemico del covid 19. Innanzitutto, la maggiore vulnerabilità al ciclo economico depressivo dei lavoratori e delle lavoratrici di origine straniera che pone una serie di ostacoli al mantenimento dell’occupazione e del relativo salario necessario per sostenere i costi per la casa, dalla locazione/mutuo alle utenze (Alietti, 2017). La crisi economica e produttiva con la quale dovremmo confrontarci nei prossimi mesi quale conseguenza diretta dell’emergenza sanitaria riporta al centro della nostra attenzione la crescente difficoltà delle famiglie immigrate a perseguire e proseguire nel loro cammino d’inclusione e di cittadinanza. L’impatto oltremodo negativo sulle risorse economiche per le spese alloggiative metterà in discussione tale cammino a cui la debolezza strutturale del nostro welfare abitativo non è in grado di fornire risposte adeguate nel medio e lungo periodo. Scarsa offerta pubblica, politiche per il rilancio dell’affitto quasi inesistenti, riduzioni progressiva degli aiuti alle famiglie in difficoltà (contributi per l’affitto e/o acquisto per la prima casa) è la cornice assai critica entro la quale ci si muove e ci si muoverà nell’immediato futuro (Tosi, 2017). Inoltre, sappiamo da tempo lo svantaggio posizionale dell’immigrato sul piano materiale e simbolico dentro il mercato della casa che si racchiude, per una quota significativa, nelle carriere abitative all’interno del comparto alloggiativo più fatiscente e nelle aree maggiormente degradate delle principali aree metropolitane (Alietti, Agustoni, 2018; Petrillo2018; Tosi, 2017). A cui si associa, in un certo numero di casi, una condizione di sovraffollamento e scarsa dotazione di servizi che amplifica il disagio, in particolare in questo periodo drammatico di clausura forzata. Le evidenze empiriche delle indagini ORIM e dai dati a livello nazionale mostrano come la stragrande maggioranza dei nuclei stranieri trova un alloggio nel mercato privato dell’affitto e, in minima parte, nel pubblico. Possiamo immaginare quale scenario si verrà a configurare se la ripresa economica non sarà relativamente rapida e l’azione di governo (locale e centrale) non efficace nell’intervenire con strumenti adeguati e coordinati. Le prime risposte, sospensioni dei pagamenti dei canoni senza che ciò possa essere la ragione per la decadenza del contratto di affitto è sicuramente importante, ma non risolve il problema. Lo differisce nel tempo senza incidere sul rischio di perdere l’alloggio e gli esiti estremamente negativi ad esso connessi. Lo stesso discorso vale per la sospensione delle rate del mutuo e l’eventuale perdita del capitale fin qui investito nella logica della stabilizzazione del progetto migratorio. Quindi, la congiunzione tra crisi socio-economica derivata dalla pandemia e il deficit di case in affitto a costi abbordabili per le famiglie sia immigrate, sia italiane sarà un elemento di criticità importante su cui le amministrazioni locali e il governo centrale dovranno confrontarsi. L’integrazione abitativa può divenire, in altre parole, un processo non più risolvibile in maniera autonoma, secondo le esclusive regole di mercato, ma avrà necessità di un più diretto sostegno dell’azione pubblica nei suoi differenti snodi per avviare politiche indirizzate ad ampliare, o rilanciare, l’offerta in locazione a canoni moderati e misure alternative di offerta di case (ad esempio il social housing). La sfida è anche riferita a non esacerbare potenziali conflitti tra queste frange di fragilità migranti e autoctoni con strategie di aiuto e contenimento che non siano caratterizzate da ambiguità procedurali e di definizione dei soggetti coinvolti.

Dobbiamo sempre tenere in debito conto che nell’ultimo decennio sempre più quote di ceto medio autoctono e immigrato ha dovuto affrontare una progressiva perdita di ricchezza aumentando la platea di domanda per alloggi a costi abbordabili. Questo significa che oggi a fronte della prevedibile caduta occupazionale la tenuta della coesione sociale dovrà passare inevitabilmente per una forte attività nell’allargare l’offerta e l’accesso al bene casa.

A questo panorama che si delinea nella complicata reazione alla pandemia e alle dinamiche di generalizzato impoverimento, la questione immigrazione si configura con aggiuntive problematiche che ne aggravano il quadro. In primo luogo, la situazione già di per sé assai critica dei richiedenti asilo e dei rifugiati negli Sprar sparsi sul territorio nazionale. Al di là delle questioni relative alla situazione sanitaria della concentrazione in spazi ridotti, per cui sembra che vi siano stati degli interventi ad hoc, si deve contemplare la fuoriuscita di parte di queste figure vulnerabili dal circuito dell’assistenza. Tale uscita alimenta la difficile ricerca di una autonomia alloggiativa che possa prevenire l’entrata nel mondo dei senza fissa dimora con le pesanti ripercussioni sulla vita dei migranti e sull’informalità dell’abitare nei nostri centri urbani (luoghi abbandonati spesso in condizioni di assoluto degrado) (Fontanari, 2019). Anche in questo specifico caso, sappiamo da diverso tempo che all’interno di ciò che definiamo homelessness vi è una componente straniera relativamente significativa, per quanto minima rispetto alla normalità dei processi d’integrazione (Tosi, 2017). L’estrema povertà che caratterizza tale segmento di popolazione rischia di essere un fattore sempre più drammatico nelle chance di uscita dalla precarietà abitativa e lavorativa. L’invisibilità di questi soggetti ai margini delle nostre società urbane deve essere riconosciuta alla luce di una crisi che si preannuncia lunga e densa di difficoltà anche per quanto riguarda le priorità legate alla ripresa economica.

Infine, è oltremodo necessario rammentare le condizioni di estrema vulnerabilità sociale e alloggiativa raffigurate dai cosiddetti ghetti rurali nelle regioni del Sud di cui si è discusso ampiamente negli anni precedenti e si discute tuttora alla luce delle necessità di manodopera per la raccolta nel mezzo dell’emergenza socio-sanitaria (Caruso, 2018). In questo specifico caso, la richiesta di regolarizzare questi lavoratori e lavoratrici delle nostre campagne dovrà essere accompagnata da politiche strutturali per la disponibilità di alloggi adeguati. In caso contrario la possibile regolarizzazione non farebbe altro che spostare in là, ancora una volta, il problema e, soprattutto, la mancanza di reali alternative ai ghetti non muterebbe la subordinazione alla rete del caporalato e delle agromafie (Osservatorio Placido Rizzotto, 2018). Queste considerazioni indicano chiaramente la sfida che si apre per i prossimi mesi per quanto riguarda uno dei pilastri basilari dell’integrazione dei nuclei migranti e che si sovrappone sempre più all’incertezza e all’insicurezza delle famiglie autoctone. Le crisi, indubbiamente, mettono in discussione molteplici aspetti della vita collettiva, degli assetti politici e amministrativi, delle inefficienze o mancanza di politiche. Nondimeno, si possono aprire orizzonti d’intervento i quali, sotto la spinta della pandemia in corso, possono attivare percorsi virtuosi e inesplorati, certamente mai del tutto sufficienti rispetto alle interazioni delle specifiche emergenze che stiamo vivendo, ma che possono, e devono, essere perseguiti per maturare un nuovo progetto di riduzione delle disuguaglianze e di convivenza multietnica nella nostra società.

 

di Alfredo Alietti, Ricercatore Fondazione ISMU

 

Bibliografia

Agustoni A., Alietti A. (2013). “Confini, distanze e legami: territori d’immigrazione in Lombardia tra segregazione, inclusione e conflitto”, Mondi Migranti, vol. 2, pp. 91-106.

Alietti A. (2017). L’Abitare, in (a cura di) Cesareo V. Blangiardo G.C., Rapporto ORIM 2016, Regione Lombardia, Fondazione ISMU, Milano.

Alietti A., Agustoni A., (eds.) (2018). Housing policies, Migrants and Integration. Reflections on Italian and European Cases, collana Framing the Urban, Aracne, Roma.

Alietti A. (2013). L’abitare, in AA.VV. Rapporto ORIM 2012. Gli immigrati in Lombardia., Fondazione ISMU, Milano, pp. 297-316.

Caruso F. (2018). “Dal ghetto agli alberghi diffusi: l’inserimento abitativo dei braccianti stagionali nei contesti rurali dell’Europa meridionale”, Sociologia Urbana e Rurale, 116, pp. 78-92.

Fontanari E. (2019), Lives in Transit. An Ethnographic Study of Refugees’ Subjectivities across European Border, Routledge, New York-London.

Osservatorio Placido Rizzotto (2018), Quarto Rapporto agromafie e caporalato, Flai Cgil, Roma.

Petrillo A. (2018). “La crisi dell’abitare migrante in Italia. Una prospettiva storica”, Sociologia urbana e rurale, 117, pp. 19-37

Tosi A. (2017). Le case dei poveri: è ancora possibile pensare un welfare abitativo?, Mimesis, Milano.