Il 6 novembre 2023 è stata annunciata la firma di un accordo, unico nel suo genere, tra uno Stato membro dell’Unione europea e uno Stato terzo per la realizzazione in Albania di due centri di accoglienza per persone migranti, ai fini dell’espletamento della procedura di asilo.
L’accordo, in teoria, dovrebbe essere volto, come dichiarato nella conferenza stampa del Governo, a contrastare il traffico di esseri umani, prevenire i flussi migratori illegali e accogliere coloro che hanno diritto alla protezione internazionale, rimpatriando invece coloro che non ne hanno diritto. Una vera novità nel campo del sistema comune di asilo, che pone fin da subito interrogativi sulle implicazioni giuridiche e politiche della misura.
L’Albania darà la possibilità all’Italia di utilizzare alcune aree del suo territorio, nelle quali l’Italia potrà realizzare, a proprie spese e sotto la propria giurisdizione, due strutture dove allestire centri per la gestione delle persone migranti arrivate via mare. Secondo le stime del Governo, in base a questo progetto (la cui realizzazione è prevista entro la primavera del 2024), i centri potranno accogliere 3000 migranti al mese, con un flusso complessivo annuale che potrà arrivare fino a 36mila persone. Da queste persone accolte saranno esclusi minori e donne in stato di gravidanza.
In tali strutture i migranti rimarranno il tempo necessario a poter espletare le procedure per la trattazione delle domande di asilo ed eventualmente ai fini del rimpatrio, anche se su questo ultimo punto sembra che non siano ancora chiari ruoli e competenze, né come il Governo intende gestire le tempistiche di una procedura (quella della domanda di protezione internazionale) che in Italia ha una durata di molto superiore ai trenta giorni previsti nelle stime del Governo per calcolare il numero delle persone migranti transitanti da tali centri.
La peculiarità dal punto di vista legislativo è che la giurisdizione all’interno dei nuovi centri sarà italiana, ma di fatto su territorio extra europeo, su suolo albanese. Una volta intercettate dalle navi italiane (non di ONG, si precisa), le persone saranno condotte nel porto di Shengjin, dove personale italiano si occuperà delle procedure di sbarco e di identificazione. Qui si realizzerà un centro di prima accoglienza dove operare una prima attività di screening, mentre in un’altra area più interna si realizzerà una seconda struttura a Gjader (modello CPR) per le procedure che invece sono successive. L’Albania collaborerà, con le sue Forze di polizia, sul fronte della sicurezza e sul fronte della sorveglianza esterna delle strutture.
Da un certo punto vista, tale accordo rappresenta un chiarissimo segnale dal Governo italiano all’Unione Europea, le cui politiche sembrano non soddisfare le esigenze di gestione congiunta dei flussi migratori. Dalle prime reazioni, peraltro, non sembra che ci sia una totale chiusura da parte della Commissione UE, che sta studiando la misura, vagliandone quindi la possibilità di realizzazione, e anzi considerando il modello come “interessante”. Dall’altro lato, i problemi di carattere giuridico e politico che si pongono a fronte di tale accordo bilaterale sono numerosi e apparentemente anche piuttosto sostanziosi:
in primo luogo la compatibilità stessa della misura con l’ordinamento giuridico europeo e il sistema comune di asilo, i numerosi conflitti di giurisdizione e competenza, nonché la mancanza di norme attuative e di personale.
Da notare il calcolo più che ottimistico, per non dire fantascientifico, delle tempistiche di espletamento della procedura di asilo. Sul punto, tali tempistiche potrebbero essere in astratto realizzate solo per il tramite di un serio rischio di compressione del diritto all’asilo e alla difesa delle persone migranti. Infine, da non trascurare la delicata posizione politica dell’Albania come Stato candidato a fare parte dell’Unione Europea, che in questo modo cristallizzerebbe la sua posizione di Paese terzo.
Il testo integrale in lingua albanese è stato per ora pubblicato dal Governo di Tirana, inclusi i due allegati che impegnano l’Italia a spese per 16,5 milioni di euro nel primo dei 5 anni e a creare un fondo di garanzia.
Il Settore legislazione di ISMU ETS continuerà a monitorare la misura, seguendone gli sviluppi e le implicazioni.
Sara Morlotti, Settore Legislazione