Domenica 9 ottobre 2022, a 25 anni dalla beatificazione avvenuta nel novembre 1997, la Chiesa cattolica ha dichiarato santo Giovanni Battista Scalabrini. Un evento importante, in particolare, per i religiosi scalabriniani e per la Fondazione Migrantes, che nella Cei ha come specifica missione l’assistenza pastorale dei migranti e con cui la fondazione ISMU collabora da diversi anni.
Nato a Fino Mornasco, in provincia di Como, l’8 luglio 1839, Scalabrini entrò in Seminario nel 1857 e fu ordinato sacerdote nel maggio 1863. Fu docente del Seminario minore della diocesi di Como e, successivamente, divenne rettore del Seminario, fino alla nomina a priore di San Bartolomeo in Como, dove fu parroco per cinque anni e sviluppò una particolare attenzione alla catechesi. A 36 anni divenne Vescovo di Piacenza. Maturò la sua sensibilità nei confronti degli emigranti, dopo aver visto, alla stazione di Milano, migliaia di persone accalcate, in attesa di partire per luoghi molto lontani, dove speravano in un futuro migliore. In quel periodo, a causa della povertà, dalle campagne del nostro Paese partivano quasi un milione di italiani all’anno: metà verso le Americhe e l’altra metà verso i Paesi dell’Europa, del Nord Africa e del Medio Oriente.
Di fronte a tanta miseria, Scalabrini si sentiva umiliato come sacerdote e come italiano e si poneva costantemente un’unica domanda: come aiutarli? Scalabrini si attivò quindi perché la società e la politica si occupassero dei migranti. Mentre salutava entusiasticamente la fondazione del Dicastero vaticano per l’evangelizzazione dei popoli (Istituto De Propaganda Fide), Scalabrini auspicò un intervento della Santa Sede per la creazione di una commissione centrale per le migrazioni, che si occupasse anche della cura di coloro che migravano in Paesi dove non fosse presente lo stesso tessuto religioso che si erano lasciati in patria. Il suo impegno lo portò a fondare la Congregazione dei Missionari di San Carlo (Scalabriniani) e quella delle Suore Missionarie di San Carlo Borromeo (Scalabriniane), oltre a quella delle missionarie laiche per l’assistenza dei migranti. Realtà oggi presenti in una trentina di nazioni, in tutti i continenti, con circa 300 case. In Italia, insieme alla Fondazione Migrantes, i missionari scalabriniani operano in molte diocesi.
Scalabrini fu un pioniere nel considerare il fatto migratorio in tutti i suoi aspetti: non voleva far mancare ai migranti, in quel tempo diretti soprattutto nelle Americhe, quella vicinanza spirituale e culturale indispensabile per la tutela dei loro diritti e per la loro promozione sociale nei Paesi di destinazione.
Scalabrini aveva intuito che chi partiva non poteva – e non voleva – dimenticare la terra d’origine; anzi, voleva mantenere vive le proprie radici. Per questo le celebrazioni erano sempre nella lingua d’origine. Scalabrini aveva riflettuto sulla dimensione religiosa dei migranti: gli scrivevano in molti: “Ci mandi un prete, che qui si vive e si muore come bestie”. Il missionario quindi, secondo Scalabrini, non è soltanto l’uomo di Chiesa, l’uomo di Dio; egli è l’uomo sociale per eccellenza. Ed è quanto continuano a fare e vivere ancora oggi i suoi missionari e le sue missionarie.
L’impegno pastorale di Scalabrini fu soprattutto nella condivisione del viaggio e della vita con gli emigranti italiani, perché avessero la possibilità di continuare un cammino di fede, con le celebrazioni e la catechesi in lingua italiana. A questo si affiancava poi l’impegno sociale, diretto a promuovere la tutela dei migranti contro i mediatori di manodopera (i caporali, diremmo oggi), contro i datori di lavoro sfruttatori, per la promozione dei diritti dei lavoratori e delle loro famiglie, sia formulando e suggerendo proposte di legge, sia sensibilizzando l’opinione pubblica e la politica in diverse occasioni: come, per esempio, all’Expo di Torino del 1898 e al Convegno dell’Opera dei Congressi di Ferrara del 1899.
La passione per la cura dei migranti si ritrova anche nello scambio epistolare tra Scalabrini e Bonomelli, testimonianza dell’amicizia tra i due vescovi oltre che di un impegno che si tradurrà, per Scalabrini, nella fondazione della Congregazione degli Scalabriniani e, per Bonomelli, nella creazione dell’Opera di assistenza per gli italiani emigrati in Europa. E proprio Bonomelli, commemorando l’amico nel 1913, ricordava il suo sguardo che “spaziava al di là della sua diocesi, dell’Italia e dell’Europa”. Uno sguardo carico di umanità, capace di dialogare con le istituzioni, di “uscire dal tempio”, uno sguardo che prediligeva i poveri, che a quell’epoca erano i salariati sfruttati, costretti a lasciare l’Italia per sopravvivere. In questo tempo, in cui – come scrive Papa Francesco nell’enciclica “Fratelli tutti” – riappare la tentazione di alzare muri per impedire l’incontro con altre culture, con altre persone, l’impegno di Scalabrini per i migranti è esemplare e ancora attuale.
La migrazione di oggi è molto cambiata rispetto a quella di fine Ottocento, ma quel richiamo alla carità pastorale e sociale è ancora vivo, come dimostrano i continui appelli di Papa Francesco e l’impegno della Chiesa per la tutela della dignità dei migranti.