Questa iniziativa – realizzata dall’ente promotore – è stata selezionata per la Mappatura delle buone pratiche per l’inclusione lavorativa di migranti e rifugiati curata dal Settore Economia e Lavoro di Fondazione ISMU ETS.
Progetto “SPRAR C.I.S.A. Asti Sud”
3 Marzo 2021“Cascina Biblioteca – Cooperativa di Solidarietà Sociale”
3 Marzo 2021Progetto “SPRAR C.I.S.A. Asti Sud”
3 Marzo 2021“Cascina Biblioteca – Cooperativa di Solidarietà Sociale”
3 Marzo 2021Le imprese promotrici
FERRADINI BRUNO S.R.L.
stampatura di pellame e tessuti, Santa Croce Sull’Arno (PI)
DEL COLLE S.R.L.
produzione di legumi e cereali, Bientina (PI)
Enti partner
Vari, tra cui: ASSA (Associazione Lavorazione Conto Terzi) del Distretto Industriale Santa Croce Sull’Arno, Servizio Sociale della Caritas della Diocesi di San Miniato (PI), Suore Clarisse di Fucecchio (FI), CRI (Croce Rossa Italiana) della Regione Toscana e nazionale, BAM (Brigata di Appoggio Mutuo) di Napoli.
Gli ambiti di intervento
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- Tirocini e accompagnamento al lavoro (con inserimento lavorativo)
- Formazione e sviluppo professionale
- Diversity management e valorizzazione della diversità culturale e religiosa
- Welfare aziendale e responsabilità sociale d’impresa
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Il target
Le pratiche di inclusione socio-lavorativa delle due società riguardano migranti e rifugiati il cui status giuridico consenta l’ingresso nel mercato del lavoro.
L’obiettivo
Corrispondere a esigenze di nuovi inserimenti negli organici aziendali e al contempo – in un’esplicita prospettiva di responsabilità sociale – contribuire in maniera diretta sia alla possibilità delle persone migranti di “costruirsi un futuro” in Italia, sia all’evoluzione in senso inclusivo del territorio di riferimento.
Le attività
Le due piccole aziende promotrici, attualmente gestite dall’imprenditrice Patrizia Ferradini, vantano una consolidata esperienza nei propri ambiti di business, rispettivamente il settore conciario (Ferradini Bruno, dal 1959) e quello alimentare (Del Colle, dal 1996). Entrambe propongono oggi una visione strategico-culturale distintiva, promossa dalla titolare e dai suoi collaboratori: Ferradini Bruno tramite investimenti in macchinari di ultima generazione, integrati con una politica di progressivo ricambio del personale volta all’inserimento di persone giovani e motivate; e Del Colle attraverso la ricerca costante di qualità sostenibile dei processi di approvvigionamento e trasformazione della materia prima, secondo i valori di un’agricoltura rispettosa degli equilibri naturali e promuovendo reti d’impresa anche internazionali in grado di garantire la redditività degli agricoltori, la valorizzazione delle eccellenze locali e la selezione tracciabile di varietà di legumi e cereali provenienti da diverse aree del mondo.
Combinandosi con altri fattori, tale apertura – in senso lato – all’innovazione e alla sostenibilità non appare estranea alla scelta di includere, ormai da diversi anni, lavoratori stranieri negli organici aziendali. Attualmente, i lavoratori immigrati impiegati sono 3, di cui 2 rifugiati, in Ferradini Bruno (su 16 dipendenti); e 6 in Del Colle (su 23 dipendenti), provenienti soprattutto da Sri Lanka e Romania. In generale, l’esperienza con le proprie risorse umane straniere viene rappresentata in modo estremamente positivo, identificando un loro importante apporto al funzionamento delle due realtà aziendali in termini – con le parole della titolare – di «efficienza, intelligenza e passione nel lavoro». In vari casi, il riconoscimento di questo contributo si è tradotto nell’assegnazione di ruoli di maggiore responsabilità nella gestione dei processi.
L’impegno inclusivo a favore dei migranti traspare in modo molto evidente dalle varie pratiche che hanno accompagnato l’ingresso e l’integrazione in Ferradini Bruno, a partire dal 2012, di due giovani uomini rifugiati fuggiti da teatri di guerra in Togo e Mali e con alle spalle drammatiche storie personali e familiari.
- Inserimento lavorativo: a seguito di contatti con l’associazione di categoria e gli attori del sistema di accoglienza, le due persone hanno svolto un tirocinio di 6+6 mesi presso la società. Al termine di tale periodo, è stato offerto loro un contratto di apprendistato di durata triennale, alla conclusione del quale, nel 2014, essi sono stati assunti con un contratto a tempo indeterminato.
- Formazione: fin dalla prima fase dell’inserimento, l’azienda si è attivata per assicurare a entrambi corsi sia di lingua italiana che, come per tutti i dipendenti, di natura job-specific.
- Supporto per esigenze di carattere personale e familiare: l’azienda, specialmente nella persona della titolare, ha fornito costante assistenza per favorire la stabilizzazione non solo lavorativa ma anche delle condizioni e dei progetti di vita dei due rifugiati nella comunità locale. Tra queste azioni di “welfare d’impresa informale”, figurano l’aiuto per il disbrigo delle pratiche burocratiche connesse allo status di rifugiato o necessarie per usufruire dei servizi del territorio, come anche – secondo una prassi già consolidata con altri dipendenti – la copertura delle garanzie indispensabili per l’accensione del mutuo finalizzato all’acquisto di una casa. Di recente, nel contesto della pandemia di Covid-19 e di una conseguente aumentata attenzione aziendale verso i bisogni del personale (p.es., mediante l’anticipo dei trattamenti di Cassa Integrazione in corrispondenza di una sospensione dell’attività di 50 giorni e pur con un calo del fatturato superiore al 30%), l’impresa si è impegnata per alleviare il periodo di quarantena obbligatoria della famiglia di una delle due persone rifugiate; ciò, non solo avviando immediatamente la procedura per il riconoscimento della condizione di malattia del dipendente ai fini del trattamento economico senza decurtazione, ma anche seguendo direttamente l’evolversi della situazione per corrispondere a eventuali ulteriori necessità del nucleo familiare.
Le fonti di finanziamento
Risorse pubbliche per i tirocini destinati a persone rifugiate; risorse aziendali, anche sotto forma di integrazione dell’indennità prevista per i rifugiati tirocinanti.
I risultati ottenuti in termini quantitativi
A parte il dato relativo all’occupazione di migranti nelle due aziende (oggi 9 complessivamente su un totale di 39 dipendenti), in base alla ricostruzione della comune titolare si tratta di una presenza che ha in generale prodotto tangibili benefici per entrambe le imprese sotto il profilo dell’impegno e della responsabilità nel lavoro, della ricchezza di sensibilità ed esperienze portate nell’impresa e, in definitiva, della stessa produttività.
Nel caso di Ferradini Bruno, la scelta di inserire e in seguito assumere stabilmente persone rifugiate ha portato, nel 2019, al conseguimento del logo “Welcome – Working for refugee integration” conferito da UNHCR. Al riconoscimento è stato dato ampio risalto da parte dei media non soltanto di livello locale, anche attraverso l’intervento di referenti di ASSA e CNA Toscana, con indubbi effetti positivi per la visibilità e la reputazione dell’azienda.
Rispetto ai lavoratori stranieri impiegati, e con particolare ma non esclusivo riferimento alle persone rifugiate, le pratiche inclusive attuate nel corso degli anni dalle due società hanno contribuito in maniera significativa alla loro integrazione, sia lavorativa che più ampiamente sociale, nel tessuto locale.
I risultati ottenuti in termini qualitativi
Malgrado qualche difficoltà iniziale specie legata all’inserimento delle persone rifugiate, la presenza di dipendenti migranti nel luogo di lavoro si è tradotta nello sviluppo di un clima di relazioni e collaborazione aperto alla diversità che tende a coinvolgere anche gran parte del personale autoctono.
Più in generale, Patrizia Ferradini attribuisce al percorso intrapreso un ruolo di testimonianza e possibile sensibilizzazione nel contesto socio-culturale circostante, sebbene con la percezione che «fuori le cose restano molto diverse, perché si è ancora poco pronti culturalmente ad accogliere la diversità».
I punti di forza
Le leve fondamentali che hanno sostenuto nel tempo l’impegno dell’imprenditrice nell’inclusione lavorativa di migranti appaiono innanzitutto di carattere culturale: una convinzione del «valore della diversità vista come risorsa invece che come limite», che si unisce – a livello ancor più profondo – a una forte motivazione etica alimentata da una visione cristiana della vita, con la conseguente consapevolezza delle responsabilità e scelte di solidarietà che questa può o deve comportare nella sfera professionale. Tale approccio valoriale si confronta con l’esigenza primaria di stare sul mercato, da un lato accettandone le sfide: «A me preme che le mie imprese abbiano questo spirito ma poi un’azienda deve anche fare utili, quindi, per quanto abbia di fondo una grossa fiducia – diciamo pure – nella provvidenza, so bene che tutto ciò non è scontato perché chi opera inevitabilmente rischia»; e, dall’altro, mantenendo fermi alcuni principi ritenuti non negoziabili: «I vantaggi per l’impresa contano e, per esempio, abbiamo inserito i rifugiati anche perché ci servivano, ma non potrei concepire di abusare dello strumento del tirocinio; qui entrano in gioco le competenze morali e la coscienza di chi gestisce, perché il lavoro e soprattutto il lavoro ben fatto va pagato il giusto e riconosciuto, nasce un debito morale verso chi lo svolge».
Accanto a ciò, due altri fattori hanno avuto un ruolo centrale per il buon esito delle pratiche inclusive in questa esperienza imprenditoriale, specialmente per quanto concerne l’integrazione di persone rifugiate. L’uno, di tipo contestuale, coincide con l’interazione di rete con stakeholder, in primo luogo locali ma anche di livello nazionale, dati in particolare da associazioni categoriali ed entità non-profit operanti nel campo dell’accoglienza e dell’integrazione socio-lavorativa dei migranti; un network di relazioni formali e informali dell’imprenditrice che non solo ha funzionato come risorsa di appoggio già disponibile, ma è anche verosimilmente uscito rafforzato da questi processi di collaborazione. Il secondo fattore, di tipo – per così dire – più “micro”, consiste nella disponibilità personale incontrata nei rifugiati inseriti in termini di apertura all’apprendimento e sviluppo di senso di responsabilità nel luogo di lavoro; come commenta la titolare, «un ingrediente inevitabile».
Le criticità
Si riportano due aspetti problematici, legati ad aspetti culturali-religiosi e abbastanza ricorrenti nello scenario italiano, che hanno caratterizzato le prime fasi dell’inserimento di ciascuno dei due giovani rifugiati: nel primo caso, la non agevole gestione delle esigenze individuali legate al periodo di Ramadan, specie a fronte delle perplessità manifestate – spesso sottilmente – dagli altri lavoratori; nell’altra situazione, una evidente difficoltà della persona a rapportarsi gerarchicamente a una referente aziendale di genere femminile. Entrambe le criticità sono state affrontate e superate con il metodo che la titolare definisce «della conoscenza e del rispetto», ossia attraverso processi di interazione quotidiana nelle “cose da fare insieme” e di comunicazione esplicita, anche nei confronti dei dipendenti italiani, in grado di generare un riconoscimento reciproco e legami di fiducia.
Un problema indiretto ma anche più di lungo periodo consiste – nella percezione dell’imprenditrice – nel clima sociale esterno, ritenuto nel complesso non particolarmente supportivo nei riguardi degli impegni per l’inclusione di migranti e rifugiati, tanto più quando si traducano in attenzioni specifiche od opportunità “dedicate” funzionali al loro inserimento lavorativo.
Le prospettive future
Sulla base dell’esperienza fin qui condotta, Patrizia Ferradini manifesta la massima apertura a possibili nuovi inserimenti di lavoratori immigrati nelle proprie aziende, eventualmente anche rispetto all’inclusione e alla stabilizzazione occupazionale di persone rifugiate.
A tale disponibilità, si accompagna, più in generale, l’auspicio di un salto di qualità nell’evoluzione della cultura dell’accoglienza e dell’integrazione all’interno del contesto sociale locale e nazionale, di cui si ravvisa una condizione ineludibile nell’efficacia del sistema di istruzione e in una maggiore diffusione dei suoi titoli superiori tra i cittadini. In questo sguardo sul futuro rientra anche la convinzione che le criticità e le sfide determinate dalla pandemia potrebbero (e forse dovrebbero) trasformarsi in un’opportunità decisiva per «reinventarsi», investendo in nuove logiche di business realmente basate sul fattore umano quale principale capitale da sviluppare e “curare” nell’agire d’impresa.
Aggiornato al 23.12.2020